NAPOLI (di Atanasio Pizzi Architetto Basile)
LA STORIA DEL COSTUME E LA REGINA DEL FUOCO
Premessa
Questo discorso, vuole svelare e, dare significato o senso definitivo al prodotto di vestizione femminile arbëreşë relativo allo storico protocollo del matrimonio.
Espressione consuetudinaria di memoria e augurio in forma d’arte o manuale sartoriale, realizzato seguendo l’antico disciplinare, contemplato in ogni particolare che fa vestizione o costume nuziale femminile, prima durante, dopo l’evento di promessa coniugale, sino alla solitaria convivenza generata di certezza o incertezza della continuità coniugale.
Il tema pone ed evidenzi, in oltre, il valore associato al matrimonio, in espressione di sistema famiglia, sotto gli auspici e le consuetudini beneauguranti di credenza diffusa Greco Bizantina, su radice di promessa data Kanuniana.
Sono numerosi i teoreti o teorete che hanno diffusamente sparlato di questo manufatto identitari, ma tutti o tutte nel farlo hanno più mirato ad illuminare se stessi, che il costume di macro area di cui trattavano senza alcun fondamento storico.
Tuttavia prima di dare inizio alla trattazione di questo discorso in merito, la macro area presilana e il trittico di paesi noti per le saline.
Prima di iniziare questo discorso è doveroso ringraziare: Adelina e Lucia da Terra di Sofia, Caterina e Carmela da Frascineto, Anna Maria da Vaccarizzo, Gabriella da San Benedetto Ullano, Fortuna da Lungro, Anna Rita da Falconara, che assieme a Paola di Firmo, hanno espresso in forma di genere femminili, i valori sostenuti nell’atto della vestizione e, di quanto qui esposto, perché rilevato nell’atto dalla vestizione perché atto di genere.
Va in oltre sottolineato che il numero delle figure, cui era stato posto il breve dialogo per l’analisi, doveva essere più consistente, per esprimere sensazioni e pareri direttamente da chi indossa e ripete quegli attimi di antica consuetudine con rispetto e senza travalicare il termine .
Tuttavia c’è stato un numero di addette/i, che ha ritenuto più idoneo seguire la “via fatua”, per la definizione della ricerca in forma sensoriale; per questo continuano a vivere, di sentito dire, in forma di favole o di quanto si presentano al cospetto pubblico con la storica vestizione, per caso, per moda o per apparire in forma folcloristica e offendere la morale femminile pubblicamente di questo storico, ricco e rigido protocollo di vestizione.
Questi ultimi, in specie, continuando imperterriti, ogni volta che indossano le vesti, a vivere orfani dei principi fondamentali dell’identità arbëreşë, entro i termini dettati da teoreti/e malevoli/e di comuni messaggi, e coloro che le espongono, invece di unire separano e offendono la memoria del popolo che si riconosce con rispetto nella Regione Storica Diffusa e Sostenuta, attraverso scenari privi di valori attinenti la storia delle consuetudine di promesse date in Arbëreşë.
Introduzione
Di sovente si racconta e s’illustrano i costumi arbëreşë, elencando le parti che lo compongono, secondo il mero apparire, attraverso enunciazioni locali, ben distanti dal loro reale significato, consuetudinario e, non rispettando il il protocollo identitario generazionale secondo cui la madre parla, gesticola e veste la figli che ascolta, segue ogni cosa e apprende.
Il più delle volte infatti, la consegna non avviene direttamente come la storia vuole, ma per sentito dire, terminando la consegna storica ereditaria, nell’esprimere pareri gratuiti di vestizione, coronando il tutto di errori a dir poco paradossali e, addirittura amalgamando arte sartoriale, con attività non proprio di radice di tessitura, non certo per l’onore o il rispetto del genere femminile che termina di apparire senza decoro dove si passeggia sulla retta via di scesa indecorosa.
Un’altra metodica che ormai è diventata regola per il turista distratto della breve sosta, consiste nel proporre il tema della vestizione nuziale, per divagare con tesi di laurea o esperimenti editoriali, in cui docenti o esperti/e di, non appartenenti al protocollo di “madre che parla e figlia che ascolta”, quindi senza alcun titolo, finiscono per approvare, invece di correggere, quanto portato come vessillo folcloristico il valore più solido e intimo del genere femminile degli Arbëreşë.
Questi inopportuni atteggiamenti di vestizione, producono un duplice danno: il primo proprio da quanti dovrebbe sostenere il prezioso modello, arbëreshë, purtroppo, certificando come istituti o plessi pur non avendo alcuna capacita culturale, titolo o conoscenza di radice, in questo campo, ma solo la notorietà del plesso dove non score certamente la consuetudine di radice Arbëreşë; il secondo ancor più pericoloso è che si lasciano in eredita alle nuove generazioni componimenti scrittografici, come vangelo originale, traducendo tutto in una perdita della tradizione più intima della minoranza, il più delle volte espresso in parlato di lingua moderna Albanistica.
In tutto formano componimenti che poi non sono altro che riversamento malevolo di concetti senza alcuna attinenza del protocollo consuetudinario arbëreşë, oltremodo facendo grande sfoggio, nel citare il senso di appartenenza, senza avere alcuna consapevolezza del significato dell’oggetto esposto in misura, di mezza festa o mezzo lutto o mezza sposa, compromettendo il valore depositandolo in forma liberamente pagana o volgare invece di depositarla nella culla della religione sostenuta, che a questo punto non è più tradizione.
Questo è il motivo che ha determinato la deriva, senza precedenti, mina vagante del significato della vestizione in giovane donna, sposa, regina della casa, vedova, e vedova incerta; le cui vesti, pur se accumunate in presidi preposti da quando le istituzioni, ancora non in grado di fare editoria hanno ritenuto utile tutelare e promuovere, immaginando che esporle in forma di statici manichini queste vesti, serva a diffondere con coerenza antica i temi del disciplinare o della ricerca condivisa dalle nostre madri arbëreşë, le quali nel contempo si rivoltano in pena lì dove vivono il loro termine.
Tutto ciò ha condotto quanti si elevano ad emblemi esonerati dai cinque sensi, ad assumere per arroganza di passaggio generazionale, privi dei fondamenti di olfatto, tatto, visione, ascolto che non fa lungimiranza, di gusto e orecchio del governo Ghratvemëşianë .
E Qui si ferma la prima parte