Archive | gennaio, 2024

REPERTI VERNACOLARI ARBËREŞË l’INVISIBILE PRESENZA PER L’ARCHEOLOGICO TURISTA (Zopathë i thë ngrëiturat pà garbë thë viuera)

REPERTI VERNACOLARI ARBËREŞË l’INVISIBILE PRESENZA PER L’ARCHEOLOGICO TURISTA (Zopathë i thë ngrëiturat pà garbë thë viuera)

Posted on 26 gennaio 2024 by admin

oTTAGONO

NAPOLI di (Atanasio Pizzi Architetto Basile) – È uso comune in tutti i luoghi teatro indiscusso della storia, con protagonista il genio degli uomini, le tesse che oggi appariscono esposte in fossati o recinti con generi di confine, privi di ogni minimale schema generale del disseppellito planimetrico e altimetrico.

Sono numerose le fosse in componimenti di questo genere espositivo in tutti i centri antichi, dove si possono osservare resta di grammatura e, tutte prive dei minimali episodi di tema completo da acquisire o diffondere.

Ragion per cui, un attento osservatore che si ferma e ode i gruppi di curiosi condotti dalla guida di turno bardato, suo malgrado, si assiste a una scala di sconcerie a dir poco demenziali e scorrette anche in forma grammaticale di lingua europea dirsi voglia.

Per dare termine a questa deriva senza soluzione di continuità basterebbe un QR-Code protetto e, ogni cosa sortirebbe in verità, fornendo alla guida di turno in primis, umanità storica con pin o codice di accesso dedicato, alle cose vere degli Arbëreşë, che non sono esclusiva idiomatica, in tutto, vero è che la realtà delle cose di cui fanno parte quei frammenti di storia, potrebbero diventare, la solida trattazione certificata, mai realizzata da nessuno scriba armato di carta e penna.

Cosa diversa avviene in quella che identifico, siccome munito di alta formazione culturale e, infaticabile onnipresente negli ambiti buoni, come la “Salita della Sapienza Olivetara Partenopea”, perché con righello in mano e, non certo come fan gli altri con carta, penna e calamaio pensando di fare cultura in Istituti o Dipartimenti orientati male e poco assolati, gli stessi che non sono neanche idonei a fare orto, perché orientati senza sole.

Ragion per la quale quando dico e diffondo il principio di “Regione Storia Diffusa Degli Arbëreşë” non esprimo parere solitario, ma concetto condiviso, almeno da sette più una, disciplina e, chi sa studiare alla luce del sole, quando va da est a ovest, non deve attendere mezzo giorno per avere luce e, al buio senza termine impreca il buio d’Arberia.

Se altrove si preferisce recintare i fossi dove ancora i resti vernacolari resistono “infossati”, per continuare ad essere sottoposte alle ire della natura e degli uomini, nei Katundë Arbëreşë, si potrebbe ricostruire ogni cosa senza un minimo di pena per il sottratto, alla storia millenaria di questi luoghi di genio e pena.

Ma non solo questo, infatti attraverso il sistema QR-Code protetto, si possono aggiornare tutte le notizie storiche locali in specie quelle dei Katundë Arbëreşë, che non hanno guide e, vivono alla giornata della prima figura a cui si chiede notizia, non di una strada o un loco, ma della storia che li è avvenuta in millenni di avvenimenti.

In altre parole, invece di apporre lapidi penose di memoria dedicate sin anche ai carnefici, scambiandoli per figure oneste, in tutto, un discreto quadratino codificato ti riporta alle notizie, di un sistema multimediale, fornendoti nell’immediato la reale storia di quel determinato luogo, ameno che siano.

Un modello nuovo per fare turismo culturale e accoglienza della breve sosta, accreditando le note tramite un sistema dedicato, in altre parole un museo a cielo aperto, dove le entrate monetarie avvengono tramite un QR-Code protetto, al quale per ricevere risposte storiche, si in via un obolo monetario, per la visita e le nozioni che si ricevono previo consenso di addebito a carico del turista, lo stesso che in giro affamato di formarsi e conoscere le cose concrete della storia  di quel luogo specifico.

Chiaramente progetti moderni di questa levatura, non possono essere realizzati da singoli ballerini/e, esperti/e, letterati/e senza arte e ne parte, ma da un gruppo di lavoro diretto e condotto da chi ha chiaro il fare intelligenza artificiale e, concerta le competenze specifiche di ogni titolato o di memoria storica locale, facente parte del gruppo, al fine di fornire e dare il meglio di ognuno di loro.

Questo è un modo di realizzare, tutti assieme, una moderna guida turistica locale, una intelligenza artificiale, che fonda le sue radici in quella dell’uomo, l’unico a sapere come fare per raccontare le cose senza errori, del passato, breve o lungo o remoto che sia.

Un progetto multimediale che non ha eguali e finalmente le cose tangibili e intangibile della storia locale, dell’agro e di tutta la Regione storica diffusa degli Arbëreşë, possono essere diffuse con questo modello artificiale, che proprio per questo, no omette o rende ridicoli le cose serie della nostra storia.

La regia del progetto, si prevede sia allocato in un server unitari di tutta la Regione storica diffusa degli Arbëreşë, evitando così, il diffondersi di errati editi, che possano apparire contradittori gli uni con gli altri dei cento e più Katundë di detta regione storica e, finalmente anche gli Arbëreşë avranno una storia unitaria e, non solo della sorgente idiomatica, dove sgorgano vocabolari e pronunce gratuite a dirsi voglia.

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WELCOME, BIENVENIDO, BIENVENU, HUĀNYÍNG IN TERRE DI SOFIA (Mirëse na erdëtith nëdë deretë Arbëreşë)

Protetto: WELCOME, BIENVENIDO, BIENVENU, HUĀNYÍNG IN TERRE DI SOFIA (Mirëse na erdëtith nëdë deretë Arbëreşë)

Posted on 24 gennaio 2024 by admin

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IL VERNACOLARE BIZANTINO ARBËREŞË, RADICE DEL RAZIONALISMO DELL’ ARCHITETTURA (Kalliva i thë bëniratë spivetë Thë  L’ina Casa)

IL VERNACOLARE BIZANTINO ARBËREŞË, RADICE DEL RAZIONALISMO DELL’ ARCHITETTURA (Kalliva i thë bëniratë spivetë Thë L’ina Casa)

Posted on 22 gennaio 2024 by admin

Ina Casa 2NAPOLI di (Atanasio Pizzi Architetto Basile) – I diffusi manufatti abitativi vernacolari, dei centri minori e dell’agro Arbëreşë, qui presi in esame, hanno convinto a perseguire questa pista di indagine o ricognizione, con lo scopo di sensibilizzare le amministrazioni locali; in figure di genere, ordine e grado pertinente.

Il tema mira al recupero di un patrimonio largamente esposto ai disastrosi operatori, che non avendo misura e formazione pertinente hanno lasciato che il valore di questi storici manufatti, venisse deturpato dalle ire del tempo e dell’uomo munito di pico e accetta.

Quello che oggi ereditiamo dopo questo intervallo sciagurato, è lo stato di degrado rilevato, per il nulla fatto, verso questi esemplari unici dell’edificato vernacolare

I quali si sono potuti difendere solo grazie alla buona scelta dei materiali locali impiegati e resistono in autonomia alle avversità, offrendo a noi tecnici, un’ultima opportunità al loro cospetto, perché allievi dalla “Scuola Olivetara” e dare cosi una nuova era di rivalsa dopo l’indagine qui in proposta.

Questi esempi di architettura vernacolare irripetibili, sono ormai sulla via della terminazione e, in molti casi non si tratta più né di conservare e/o restaurare pur se presenti, ma siccome ignorati, hanno preso la via della terminazione.

Questa breve constatazione non vuole essere atteggiamento accusatorio o di giudizio, degli interventi pubblici o privati, posti o non posti in essere, ma piuttosto un tentativo di sensibilizzazione e trarre l’attenzione, su quanto non è stato fatto per la conservazione di antiche strutture, prive sia di rilievo per la memoria e sia di progetti a fini conservativi.

Inoltre si è constatato che gli esempi disponibili quelli vernacolari, monocellulari denominati Katoj, Moticelljè, Kocellja o Kallive, sono stati poco considerati, mancando una seria attenzione o interesse per la conservazione, che avrebbe dovuto seguire le regole del restauro, per la memoria che avvolgono questi luoghi.

Gli stessi e unici in grado di raccontare o meglio il teatro della storia antica e quella più recente sino agli anni sessanta del secolo scorso.

Quella storia che i letterati, o meglio gli scribi che non sanno di carta lucida, matite e righelli, ma carte e penna per annotare e certificare per conto di chi li ha preceduti, favole di miti diversi senza cavallo.

La possibilità di vedere in tempi brevi realizzato un progetto di ricerca vernacolare, con trasparenza per la sua origine ispiratrice dell’inesplorato mondo tangibile e intangibile degli innalzati storici, fatti dagli Arbëreşë.

Il rapporto, tra scuole locali e beni culturali, sarà uno dei passi fondamentali per aprire un nuovo protocollo di tutela innovativo, che parte dal basso per impedire la deriva di abbandono sino ad oggi lasciata alle ire del tempo.

Allargare l’interesse partendo dal basso con le scuole locali, pronte alla formazione nuova e, poi terminare nei piani alti delle istituzioni sino ad oggi assenti, pur se formate, ma mancanti di leggi specifiche verso il vernacolare Arbëreşë

Le considerazioni che qui seguono e prima sono trattate, mirano ad illustrare quali prospettive potrebbero avere le esperienze pregresse del gruppo di lavoro, le stesse utilizzate e riversate per sensibilizzare le nuove generazioni, verso questi manufatti locali, nelle scuole dell’obbligo lì di fianco e, identificate come vernacolare identitario delle proprie famiglie.

È chiaro che prima di avviare questo percorso di tutela, bisogna giungere ai risultati preposti, con l’ausilio di alte indagini in argomento vernacolare e con la stessa sensibilità utilizzare l’analisi, materica, che possa garantire quali sono gli di edifici civili o eventualmente religiosi e, dopo i protocolli di rilievo, da allegare a memoria del progetto di recupero a farsi, onde evitare di incorrere a errori che ne possano smarrire per sempre l’essenza.

Questo lavoro di rilievo grafico, fotografico, e materico serve a identificare e catalogare, ogni cosa dell’edificato vernacolare della ricerca, previo la definizione di un protocollo con la individuazione di fonti archivistiche e bibliografiche dello stato del modulo, anche se inglobato in edifici di epoca più recente gli stessi che caratterizzano numerosi edificati rinascimentali, diffusamente presenti nelle provincie meridionali.

Lo studio e l’analisi ormai sviluppate e pronte ad essere applicate, potrebbero alimentare future attività di lavoro e recupero del patrimonio vernacolare, gli stessi non contemplato nella tutela dei beni culturali e in specie relativi o caratteristica inequivocabile del territorio minoritario Arbëreşë, anche perché, la legge di tutela 482/99 ad oggi, non è arricchita con le disposizioni dell’art. 9 della costituzione Italiana.

Già consapevoli, dalla corposa, ma lacunosa, documentazione custodita dalle istituzioni tutte, si è partiti con il verificare numerosi centri antichi e i relativi cunei agrari, avvalendosi dell’effettivo stato di conservazione dei manufatti in loco.

Il materiale in elaborazione è stato schedato facendo riferimento, quanto più possibile, alle reali condizioni delle strutture e il materiale che compongono i manufatti.

Il rilievo e le indicazioni grafiche fotografiche e di osservazione in presenza, daranno seguito alla composizione di schede sulla base del comparto di indagine specifico, con le quali si vogliono fissare e fermare lo stato delle cose di conservazione in atto.

Tutto questo per avere lo stato all’interno di ciascuna specifica Manxzana (Rione tipico di Iunctura Arbëreşë) dello stato a seguito di specifico sopralluogo, relazione tecnica, oltre a specifica nota descrittiva, contenente i riferimenti di osservazione materica degli elevati e gli orizzontamenti di piano e lamia di copertura, oltre la descrizione del continuo dei manufatti articolati nel corso degli anni, in tutto, lo stato finale del bene culturale vernacolare Arbëreşë.

L’indagine mira a catalogare sia edifici sul territorio preso in esame, sin anche quanti distrutti o resi ruderi dal tempo e dei quali restano frammenti di testimonianza in resti di fondazione ancora, presenti sotto le eventuali colture.

A breve saranno reso noti reperti non catalogati o addirittura noti, dei quali si ha memoria nei vari sopralluoghi effettuati.

Allo scopo e stimolare ulteriori studi da parte degli specialisti o dalle giovani leve che portano la notizia nei propri ambiti familiari come domanda per ricevere risposta scientifica in seguito.

Alla catalogazione seguirà un’ampia informativa storiografica, o aggiornamento sullo stato della ricerca, in ordine della storia locale, la toponomastica, riferita al comune preso in esame.

Per quanto riguarda i materiali, visto il tema di indagine, si mira a produrre o allestire un Prontuario o manuale che ne dia ampia illustrazione.

Saranno date alle stampe illustrazioni fotografiche e grafici di memoria, al fine di fermare lo stato di quanto sarà descritto, e di quanto scoperto, anche inedito.

Con la consapevolezza che indagini di questa caratura, voglio restituire un lavoro unico di questo genere, l’auspicio o l’augurio vuole che quanto a breve esposto, sia un utile strumento per gli specialisti di nuova generazione o studiosi delle cose di storia locale.

Tutto questo ad iniziare con il comparare quanto di vernacolare innalzato nei centri antichi e dell’agro, specie quanto riferibile in prima stipula degli atti di sottomissione degli Arbëreşë.

Gli esempi estratto dai numerosi o risalenti alle disposizioni delle celle monastiche di area bizantina; le vetrine di genio vernacolare primo, la stessa metrica indagata e riproposta in epoca moderna, dai più illustri architetti del razionalismo del secolo appena trascorso.

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L’AQUILA A DUE TESTE ARBËREŞË RESTA IN GABBIA E NESSUNO FA COSE PER LIBERARLA

L’AQUILA A DUE TESTE ARBËREŞË RESTA IN GABBIA E NESSUNO FA COSE PER LIBERARLA

Posted on 18 gennaio 2024 by admin

Sant'Elmo

NAPOLI di (Atanasio Pizzi Architetto Basile) – Se dopo sei secoli di studi, convegni e appuntamenti, con inizio, svolgimento e termine svoltisi esclusivamente con l’eterno tema culturale di allestire “insiemi di scritti unitari”, oggi riceviamo in eredità, l’inutile deriva a cui si deve porre termine.

È giunto il tempo di scuotere la cultura e le figure più titolate non per forma curriculare, ricordando agli impavidi scribi, che una minoranza non è mera favola di favella di corte ignota.

La cultura e mi riferisco a quella fatta dai maestri di scuola, secondo le regole di un tempo, gli stessi che seguivano regole di forgiatura della crusca locale in “Ragione Storica” e, non andavano secondo le gesta di quanti approdarono, levando le braccia al cielo, favellando lingua ignota, perché senza regole di bottega Dogale o lume di Hora.

Oggi la cultura, quella nuova naturalmente fatta di senso compiuto, preferisce indagare le cose tra gruppi di molteplici discipline e, usa volare in alto, affinché prendere visione globale della storica regione diffusa del meridione Italiano.

Sono numerose le figure istituzionali e di comuni cittadini che oggi si recano al cospetto dell’aquila bicipite, inchinarsi perché fedeli al suo valore, tuttavia nel corso dei secoli nessuno si è mai chiesto come fare o se è il caso di liberarla per lasciarla volare secondo natura.

E vedere, finalmente il suo particolare volteggiare, libero senza ferri paralleli verticali/orizzontali, gli stessi che ne violano la sua libertà culturale non certo mono cefalico.

Un volo libero a tu per tu con il vento e il suo cuore grande, lo stesso che da tempo è stanco di rimanere accovacciato sulla spalla del padrone, e anche quando in liberta ascolta sempre l’inutile battito di chi lo tiene legato.

Perché non lasciare spazio all’avanzare del sapere della radice antica, di cui lei ne è l’emblema storico e terminare di ascoltare il cuore nemico, che la tiene in gabbia da lungo tempo.

È così che si smarrisce il ritmo del cuore unico e forte dell’aquila bicipite, che alimenta due punti di vista e apre scenari ampi di ricerca nuova.

Questo, stato di fatto ha dato spazio a quanti vivono nel buio delle loro botteghe, ostinandosi a costruire solite gabbie, per lo storico volatile che ci rappresenta e vorrebbe volare in alto, e inviare grida di giubilo per le cose buone e di allarme per quelle, che sono di più, mancate.

Il volo dell’aquila nella Regione storica diffusa degli Arbëreşë, resta l’unico esperimento possibile in età moderna e, l’osservare con libertà bicipite, potrà giudicare le cose ancora non fatte e, scientemente ignorate in queste terre buone; questo potrebbe essere un buon inizio di una nuova era, o giorni dirsi voglia, specie di mattina, con il sorgere del sole, che illumina da est la radice storica del mediterraneo buono.

Un punto di vista nuovo e, certamente molto alto a cui nessuno ha mai immaginato di dare scena, per osservare le cose compromesse dei due pensieri, che sia da ovest e sia da est hanno sempre immaginato confronti cruenti o di ricatto dirsi voglia, senza mai fermarsi e comprendere i bisogni di quei popoli, in continuo fermento.

Solo dall’alto di un volo silenzioso e in sicurezza, sarà possibile ascoltare le discronie, le diacronie oltre tutte le incongruenze prodotte in questo storico intervallo di deriva scura, dove le cose buone, di uomini e natura non sono germogliate per poter fiorire una primavera di coerenza.

In vero, mancano vie di comunicazione, dei luoghi vicini e lontani, dove approdare e, sin anche l’aquila bicipite non sa dove fermarsi per riposare, quando appagata delle cose viste e sottolineate nel panorama della fannullona Sibari, perché preferite altre pratiche di conservazione le stesse che non fanno servizio per tutta la comunità che fa resilienza continuata, e spera di non vedere il solito sole tramontare ad ovest.

Il senso di questa frase vuole indicare che esiste un diffuso gruppo di cultori titolati, a cui è stato chiesto di ricercare, pur se allo stato delle cose e dei fatti restano tutti divisi perché percorrono strade senza meta e, mai sortiti a terminare uniti la china più semplice; tuttavia e senza il loro ausilio, basterebbe educarli tutti a fare un percorso rettilineo per prendere quota e volare uniti.

Un percorso rettilineo largo a sufficienza e lungo come una pista per aerei, lì dove gli abitanti della Sibari antica, seminarono cose ancora oggi capaci di rispondere alle ire del tempo e della natura.

Un approdo e una strada Jonë, che partendo dall’aeroporto di Sibari dovrebbe abbracciare tutto il meridione Arbëreşë per seminare i meriti pregressi e poco noti della Regione Storica Diffusa e, per la prima volta nella storia moderna, si potrebbe costruire un termine a modo dei greci, per ripartire con le vie del cielo e, diffondere il modello che oggi diverrebbe l’esempio per tutto il mediterraneo, perché l’unico riconosciuto come esempio dal tempo, dalla storia e dagli uomini.

Cosi Sibari si approprierebbe del suo ruolo antico, di approdo per popoli in cerca di una nuova possibilità per la vita e, diventare un polo d’integrazione moderno, fulcro Mediterraneo a impronta dell’aquila bicipite, la stessa che unisce pensieri, alimentati da un cuore unico forte e indivisibile.

Non è più tempo di fare i discorsi, oggi siamo al tempo dei progetti e dell’agire, fare la storia moderna, non serve alternare soluzioni, vicino le pieghe dei pensatori sani, gli unici pronti a costruire e programmare, futuri di memoria buona e cose utili.

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LA PENA INFLITTA A SOFIA, LA FIGLIA DI FEDE SPERANZA E CARITÀ

LA PENA INFLITTA A SOFIA, LA FIGLIA DI FEDE SPERANZA E CARITÀ

Posted on 09 gennaio 2024 by admin

Cattura sotto sopra

NAPOLI (di Atanasio Pizzi Architetto Basile Dentico) – Le istituzioni succedutesi nel corso degli anni in quello che nacque come Terra di Sofia, siccome poco attente alle vicende lì in svolgimento, sono state maliziosamente taciute, generando così, mendaci ed ingrate osservazioni da parte di stranieri che svolgono attività senza titoli e meriti di luogo.

Questi, fuggendo le nebbie, le miserie e le turbolenze delle loro contrade natie, non trovando altrove agio, sanità e quiete, adoperandosi, per questo, a riferire anomalie del popolo Arbëreşë, di epoche, luoghi e uomini.

Quello che poi, in definitiva, resta sono il catastrofismo di nomina Kuşetara, steso penosamente al sole, con tutta la sua macchia celebrale indelebile, la stessa che devia la mente di proto figure in perenne evoluzione verso il basso.

Tutte queste poi deturpano le prospettive intatte del centro antico, aprono arcobaleni albanesi in coloriture indigene, tutte pronte a diventare offesa alla memoria di eccellenze locali in grafito di carbonella.

Poteva andare diversamente, ma l’arroganza giovanile diretta e condotta dal “puparo matto”, è risultata essere, più devastante della terminazione di una guerra, un terremoto, un incendio o pestilenza dirsi voglia.

Si potevano esaltare i cunei agrarie della trasformazione o valorizzare il manuale che unisce casa e chiesa, ovvero il costume; si è preferito invece, fare ricircolo di contaminanti, lì dove storicamente si giocava da giovani per imparare a vivere in condivisione e rispetto reciproco di regole fatti e cose senza dover ricorrere a costringere la spossa a sollevar vestiti lungo il lavinaio degli uomini.

Anno fatto Workshop e naturalmente, non si è cercato di perseguire la via comoda per citare cose poco note agli indigeni invasori; ma per il solo scopo di elogiare, se stessi, cose e uomini di seconda filiera o tessitura.

In altre parole invitare il forestiero ad osservare le sconcezze o la definizione di uno Sheshi o della Gjitonia, per incuneare nausea, nel voler affermare a tutti i costi evidenti necessità familiari o di gruppi equipollenti.

Si sa che in un centro antico come quello di Terra di Sofia non tutto può essere lodevole, perché la perfezione non è sempre delle opere umane; ma il richiamare l’attenzione altrui sulle proprie debolezze formative, sa piuttosto di sfacciataggine, rivolta nei confronti di un visitatore ignaro.

Constatata la inesorabile deriva ormai in atto e senza regole, thë kuşet e Sofiesh, si ritiene di dover aprire un nuovo stato di fatto o solida egemonia culturale, per fornire almeno strumenti di lettura, indispensabili, ad arginare la pericolosa decomposizione ad opera degli entusiastici adolescenti, che siccome discoli rinomati, nel lavinaio thë Trapësa fanno “pishiallioca e nulla più”.

In tutto un protocollo che ormai è regola di numerosi e distratta scolaretti; in campo del costruito, la storia, il raffigurato, il costume, le favole, il canto e le ballate, prive di radice o di ogni sorta di garbo Arbër/n.

L’auspicio qui perseguito, mira a far dileguare o almeno allontanare da şeşi, rrughe, orti, trapesi, porte gemellate, sedili di conta e processioni, i giullari di mezza festa o solisti alla esasperata ricerca di dogarsi.

La nota di allontanamento perenne, vale anche per quanti si presentano con i veli d’incoerenza, per essere “Attori Primi” senza vergogna e alcun pudore morale, nell’esporre le cose che dicono essere memoria, in archivi e biblioteche, come se chi vive di consuetudini, ogni giorno si reca dal notaio a certificare le cose che costruisce per i domani.

Tutto ciò per raggirare gli spettatori distratti che non sanno di cultura, architettura, arte e storia, in tutto si potrebbero definire gatti, topi, gufi e volpi che per distrarre pinocchio nel paese che non è meraviglia, piantano monete nel solco seminativo; con lo scopo di convincere, del sicuro germogliare di “sonanti circoscritti primi”.

Ormai la deriva si è allargata fuori misura e, si ritiene sia ormai il tempo di arginare il termine per “allontanare gli infanti senza religione Olivetara, perché le Terre di Sofia non sono mai state, così tanto calpestate, offese o trascinate tanto allungo, nel Vutto dei nobili di sopra”.

Una nuova Bertina è nata cresciuta e pasciuta nel corso di questi ultimi tre decenni e se il limite più basso era ballare e cantare con movenze e sonorità per imitare il turco nemico, con incosciente rinnovamento, si poteva pure sopportare ridendo.

Dal ballo e dal canto passare alla storia e alla scrittura in Arbëreşë per diffondere cose articolate e inesatte, il passo è breve e, gli argomenti diffusi dalla Bertina di turno, come tutti sanno, conducono al tradimento e alla morte di fatti, cose e uomini o meglio, alla cancellazione della radice di del Casale Terra, motivo per il quale, è urgente intervenire e rendere illegittimo il postulato linguistico e storico di Bertina, versione 2024.

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REGIONE STORICA DIFFUSA ARBËREŞË INNALZATA, ABITATA E OGGI VISSUTA SENZA RADICI (Iunctura anomala di Vallje, Gjitonia, Rioni, Vestizione, Parlate e Processioni)

REGIONE STORICA DIFFUSA ARBËREŞË INNALZATA, ABITATA E OGGI VISSUTA SENZA RADICI (Iunctura anomala di Vallje, Gjitonia, Rioni, Vestizione, Parlate e Processioni)

Posted on 02 gennaio 2024 by admin

36384154-albero-con-radici-isolateNapoli (di Atanasio Pizzi Arch. Basile) – Se ad oggi volessimo trarre la somma di quanto prodotto, allestito, cucinato, pubblicato, articolato e contorto, per la tutela delle cose storiche Arbëreşë, si potrebbe ipotizzare la quota massima di uno zero assoluto, se si escludono i nuovi episodi qui diffusi.

Dopo aver viaggiato verso Occidente sino al 2010, poi indagato tutti i cento e nove paesi, che compongono la regione storica diffusa degli Arbëreşë e, in fine attraverso, i paesi dell’Est, tutti gli stati europei, dove resistono più di quanto fanno gli Arbanon, altre minoranze meglio istruite dal basso e, non si comprendono le tangenziali attività dipartimenti, i delegati per tutelare le radici.

Questi pur avendo il compito di indagare comprendere, comparare e leggere il territorio, per rendere chiari gli eventi con protagonisti luoghi, cose e uomini, danno adito a sbalorditive e inesistenti leggende, a cui urge rispondere con forza per evitarne la malevola diffusione della vergona raccolta in funzione dei secoli di semina adnati persi.

Qualche dubbio sorgeva già nel corso del 2003, quando a un giovinetto che frequentava le scuole medie, rispondeva alla domanda: come andava a scuola l’apprendimento dello skip, diffusosi grazie alle risorse della 482/99 a tutela della “Lingua Albanese”.

In giovinetto affermò: io esco dall’aula e gioco a pallone, o gioco ad asso pigliatutto, perché quelli; i professori, non so cosa vogliano e dicano, ma non parlano certamente come mia nonna a casa, quando stiamo davanti al camino.

Sicuramente una risposta sconcertante, per l’età del giovane apprendista minoritario, sottoposto alla gogna di tutela attraverso l’indigena Lingua Albanese.

E tale affermazione, fatta da uno scolaretto, abbisognava di un percorso a ritroso per comprendere cosa fosse avvenuto di anomalo, per giungere a insegnare l’Albanese moderno, nelle scuole dell’obbligo Italiane sotto la giurisdizione linguistica Arbëreşë, per meglio dire, indicare la vecchia via e distrarsi ad osservare il giullare colorato che passa danzando.

Altri episodi a dir poco blasfemi furono: le manifestazioni in memoria della Gjitonia; la violenza scalfita nei quadrangolari murari toponomastici bilingue, le leggende legate al costume da sposa, di cui si divulgavano i primati e nessun contenuto; un processo di studio innescato nelle rime apparizioni pubbliche del 2004 ma da un decennio in prova inventata.

Torna alla mente la memoria di Temistocle, il quale diceva, al piccolo Atanasio: parla bene la lingua Sofiota, perché se sbagli nel pronunciarla, adesso che cresci e giochi in piazza o vai in giro da giovinetto, ti scambiano per estraneo e ti portano a San Demetrio, perché bambino disperso.

Oggi questo avviso per bambini ha finito con il portare adulti a Tirana, dove non si perla certo l’Arbëreşë e i risultati sono a dir poco disarmanti, visto le cose che si elevano, si dicono, si promuovono e si valorizzano, per il parlare strano, e non come parlava ballava e cantava lo zio Celestino, quando faceva innamorare sposi e spose.

Ormai si parla e si raccontano cose che prese una ad una vorrebbero che la minoranza Arbëreşë è Indiana Apache con le capanne attorno al campetto per danzare, non si ha misura di cosa sia la Gjitonia, lo Sheşi, il Costume e gli apparati di decoro, questi ultimi in specie, sono esposti con minori, a dir poco, da perseguire penalmente.

Sono stati realizzati musei  mono tematici cosi come le biblioteche, cose secondo le quali,  la memoria degli Albanofoni che vive si rigenera da oltre sei secoli qui in Italia, fosse opera di uno scrittore, o del campanile più alto costruito vicino alla casa del cultore di turno.

Valgano da esempio gli innaturali sostantivi per riconoscere o attestare il tipo di vestizione comune quali: Festa, Mezza Festa (????); Lutto e Mezzo Lutto (?????), che non trova coerenza, forma o applicazione in nessuna delle società dell’antichità, in quanto inimmaginabile applicativo sociale.

Non esiste struttura pubblica, dove si espongono l’intero o completo grappolo del genio, per il quale gli Arbanon erano ben accolti in ogni luogo,  non per l’esecutiva di lingua o scrittura, quest’ultima, è bene che si sappia, tutelata solo da Pasquale Baffi e poi più nessuno. 

Si ode che alcuni paesi di origine Arbëreşë, non hanno costume, perché in Italia vennero da soldati tutti uomini; questa è una via di fuga culturale estrema, che lascia il tempo che trova, infatti gli esuli della diaspora Arbanon erano gruppi familiari compatti e, non avrebbero mai lasciato la famiglia in balia dei turcofoni educatori.

Ragion per la quale, se non si è in grado di studiare capire e comprendere le cose della storia, perché le istituzioni finiscono addirittura di festeggiare con malevole lapidi in memoria e magari al suono do fanfare prime, le quali, perché musici ignorano cose, terminando tutto in banchetti, balli e giullari ubriachi che indicano vie sbagliate.

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