NAPOLI (di Atanasio Pizzi Basile) – Le istituzioni, l’organizzazione e le curiose considerazioni sversate verso la Regione storica diffusa degli Arbër, ad oggi, perché poco conosciuta o per meglio dire maliziosamente velata, per meglio dare spazio e lustro a ignari osservatori stranieri, parlanti e non.
Questi che fuggendo dalle miserie e le turbolenze delle loro contrade di provenienza, si sono illusi di trovare, altrove, pace, sanità o quiete mentale; quella che sotto il nostro immenso tetto di accoglienza e rispetto per lo straniero, come disposto dalle consuetudini, le migliori che onorano l’umanità; per ignari fosforescenti luminari, sono stati intesi come arretratezza culturale, traducendo le nostre fondamentali attività di rispetto dell’ospite vagante, in prostrazione, ignoranza o inadeguatezza di cogliere cose della storia che ci appartiene.
A ben vedere ciò che allo straniero, appena colto è sfuggito è il rispetto, o meglio, il decoro della, ingiustamente, malmenata patria, la quale, siccome storicamente non usa un libro di manuale ne usa stendere al sole pubblico le proprie intimità, o stato fisico delle cose, a quanti volessero deliziarsi di materiali curiosità, diventa impossibile per lo straniero errante trovare le notizie che rendono facile l’acquisto di tutte le comodità che fan la vita dilettevole solo a un Arbër.
Questo è lo scopo che si vuole conseguire col il presente lavoro e, chi volesse apprendere deve leggere così può conoscere cosa è la nostra regione storica per capire anche cosa è una capitale, e diventare giudice esterno pubblico e imparziale.
Nel comune conversare, pubblicare e diffondere le cose che dicono siano parte essenziale delle regioni, di quella lingua di terra che si insinua, fiera nel mediterraneo centrale, manca sempre il concetto di guida capitale.
Si riferisce per non seguire la scia incompiuta delle terre che segnano i contorni della Regione storia diffusa degli Arbër, qui accade spesso che quanto si fa la conta, dei centri abitanti di questo insieme diffuso, questa varia e si modifica, seconda del bimbo in età scolare che conta, e secondo dell’impegno e la volontà che in genere hanno gli scolaretti, la conta varia da ventisette a cinquanta, senza mai comunque contemplare mai capitale, per cui dovrebbero essere solo paesi senza una regola.
O meglio se volessimo essere severi, come avrebbero dovuto fare molti, anzi, troppi maestri della età scolare vissuta, si sarebbe dovuto iniziare prima indicando una capitale e, poi la variopinta conta, di Casali, Borghi o fossati con ponti levatoi in difesa.
Questi generalmente un elenco di sostantivi di aggregati urbani, senza tempo epoca e senso, in tutto una regione culturale priva di contenuti identitari, palesando, che l’insieme culturale al centro mediterraneo è resta ignoto agli attori, o meglio a quanti fanno il mestiere di comparse culturali.
Mai nessuno ha saputo contare e spiegare perché la regione storica è composta da 109 agglomerati edilizi paralleli edificati dagli Arbanon, a cui sia stata mai aggiunta aggiunge la capitale che dal IV° secolo, prima di Cristo, senza soluzione di continuità, si esprime con la metrica dell’idioma Arbër.
Nessuno espone mai i motivi perché siano stati edificati o quale esigenza ha intercettato proprio quei luoghi e chi li ha circoscritti in ventuno macro aree.
Ad oggi non vi è alcuna consapevolezza del dato fondamentale che Napoli sia la capitale di questa regione storica, irremovibile, o dei morivi che la determinarono e fecero scaturire il protocollo di accoglienza e integrazione di un numero rilevante di minoritari, i quali con educazione dei fatti della storia non si sono mai sovrapposti o insediati in luoghi appartenenti o dove vissero altri popoli ancora presenti.
Chiese, conventi edificato civile, luoghi di confronto, percorsi articolati, farmacie private, vicoli articolati e supportici completano il senso della capitale dald0le per diritto l’inclusivo numero di 110.
Vero è che proprio in questo luogo antico si evidenziano per la prima volta le forme Alessandrine, importate dalle regioni del Nilo bizantino, menzionato, immaginato e, mai smesso di formarsi, parlando solo ed esclusivamente la lingua antica, avendo come riferimento le tipiche disposizioni urbanistiche e architettoniche, mai compromesse e ancora presenti nella capitale così come nei restanti 109 Katundë.
Napoli per questo è il luogo dove storicamente, tutte le eccellenze dei paesi Arbër si sono formate, riverberando poi il loro sapere senza eguali in tutto il globo, luogo illuminato e illuminante, che senza soluzione di continuità da oltre un millennio è ritenuto porto sicuro per la formazione degli Arbër, provenienti da ogni parte della regione storica.
Un luogo dove il tempo non consuma la consuetudine, l’idioma, il genio, la religione, i costumi, le buone intenzioni sociali degli uomini, perché qui tutto viene opportunamente tutelato per il futuro delle generazioni a venire.
È a Napoli che nasce la prima università che doveva tutelare l’idioma degli Arbër e non come avviene nell’enunciato della legge 482/99 dove si tutela la lingua moderna di quella terra abbandonata dalla metà dei residenti proprio per evitare le regole della su citata legge.
Oggi purtroppo e con rammarico duole affermarlo, con dati di certezza, l’essere forgiati a valorizzare gli ultimi, ovvero quelle figure, che hanno fatto danno in tutto l’ottocento, sino agli inizi del novecento, rimanendo perennemente scolaretti a cui venivano oltremodo corretti i compiti stilati in malo modo, perché capaci solo di accompagnare la mula che doveva far ruotare la macina ed essere inutili accompagnatori di quadrupedi da traino in luogo circoscritto.
Mentre ne contempo a Napoli educati e discreti esperti professori delle diplomatiche delinearono le linee guida della lingua degli Arbër, mai da nessuno comprese per essere arricchite, interpretate e divulgate, anzi utilizzati vilmente per attribuire colpe di una infamia senza precedenti.
La conferma che la metropoli partenopea sia Palepoli che Neapolis, non sia una cattedra a misura dei comunemente, lo racconta l’episodio qui citato per grandi linee, avvenuto poco tempo addietro, i cui protagonisti abituati a esporre argomenti e cose a platee di incultura o mediocre formazione, hanno dovuto correre ai ripari e cambiare titolo all’evento.
Questi mai approdati nella capitale nel trasferitisi, a presiedere un evento a dir poco inopportuno hanno dovuto piegare la loro debolezza culturale, “del discorso di tizio” poi rendendosi conto della presenza di una saggia platea, cambiare registro e seguire i consigli di chi sedeva nel fondo della sala, che con saggezza e garbo suggeriva di variare il tema e riferire “con il sottratto di tizio, a spese di sempronio” oltremodo quest’ultimo lasciato in pena ad essere ancora inforcato un’altra volta idealmente, perché di questo luogo resta a tutt’oggi resta figura illustre e complicata da comprendere per la mandria approdata nella capitale.
La figura rima della storia culturale degli Arbër, qui in questa nota su citata, oltretutto è la stessa che tracciò nel 1765 le prime trame dei sostantivi linguistici spiegati e grammaticalmente riportati, mai compresi capiti e saputi leggere da alcuna figura, o addetto preposto di questa storica e incompiuta grammaticale.
La stessa ripresa dal figlio di questi, con garbata educazione e fine riferimento, cercando di far emergere per essere diffuse, nel 1860, analizzando e diplomaticamente confrontando, documenti e attività, che doveva avere come risultato, quanto non era stato mai prestito, ma vere e proprie rapine di documenti, ricambiati con pene di studio, le stesse che restano, ancora accatastati, in chissà quale scaffale privato, preferiti lasciarli marcire, in quanto conferma scritta.
La capitale degli Arbër è il luogo ideale dove apprendere come vivere e apprendere atteggiamenti e principi, per dare solida continuità alla patto che gi Arbër hanno fatto con la terra di origine; la capitale è il luogo dove per fare abiti femminili di rappresentanza e da sposa, si tessevano, seta e cotone in egual misura; la prima per dare lucentezza e la seconda per imprimere memoria di piega; la capitale è il luogo dove la mente degli uomini produce cose buone e le strade portano il nome delle più antiche attività; la capitale ha le chiese orientate per rispettare la maggiore che indica l’origine di provenienza e di credenza degli storici abitanti.
La capitale è un luogo da vivere e non per appuntare gli episodi e le persone care del passato solcandone o sminuendone la memoria con fatica e pene fuori misura; la capitale non si disegna sui muri degli elevati della memoria, perché le cose vanno vissute e dare continuità agli uomini migliori che hanno saputo distinguersi.
La capitale non è uno sversatoio pubblico dove fare cumuli per galli che segnano il tempo, abbagliati dal sole; la capitale non è neanche un lavinaio dove indossare la parte meno nobile del vestito da donna e andare china e schiena agli ospiti, esaltandosi a ballare con la zòghà sollevata e senza vergogna dare il fiore quando si parte.
La capitale è il luogo dove se saggi con misura, avrai sempre un palco da dove esporre cose in apparenza contorte, perché chi ti è amico fraterno. Pronto ad aiutarti a estrapolare il meglio di luogo e cose.
La capitale ti accoglie anche al tempo della guerra, ti fa studiare per migliorarti e salvare gli altri, senza preferenze di genere o di ricchezza.
Va a questo punto sottolineato con forza, il dato secondo cui, è questa città ad aver dato i natali culturali alle figure più emblematiche della storia espressa in forma di puro genio, sono proprio questi ad aver seminato una realtà culturale che tutt’Europa dal XVII secolo al IXX secoli ci ha invidiato e corsi nella capitale a copiare o prendere appunti dai testi,
Cosi come hanno fatto i mediocri o meglio, gli eterni secondo, che per viltà correvano nei paesi di famiglia, a rifugiarsi per non assumersi tutolo di responsabilità o pene di carcere.
Napoli è la capitale poco dopo l’insediamento del Re Carlo III, dopo la compilazione della sua guardia privata, denominata Real Macedone, viene preferito un prete Arbër, per la guida spirituale dei suoi fidi militari, una scelta non casuale, infatti il prete venne chiamato dal piccolo Katundë di Calabria Citeriore nelle colline della Sila greca.
Nella Capitale partenopea e in particolare nel fianco ad ovest della “Cala di Chino” aveva luogo il presidio storico culturale Europeo, dove furono preparate le strategie portarono il collegio di San Benedetto Ullano a Sant’Adriano.
L’opera irripetibile, o meglio scissa oltre un secolo dopo, venne sostenuta e proposta caparbiamente ad opera del Baffi, i Bugliari e del Bellusci, con il vile a remare contro e pensare terminazioni dei liberi pensatoi, gli stessi che con la loro opera consentirono a Garibaldi il passaggio senza confronto, nelle terre in Calabria citeriore e non solo.
E sempre nella capitale che venne pensato, progettato e poi realizzato il primo ponte al mondo, su catenarie e pilastri singoli, che lasciò senza respiro la migliore ingegneria europea dell’epoca, che sperava di vedere il re cadere nel fiume e bagnarsi le vesti dal pubblico corso solo per questo risultato, che come ben sanno gli autori, l’opera ancora oggi resite alle innumerevoli battaglie degli uomini e del tempo.
Sempre nella capitale della Regione storica diffusa degli Arbër nacquero i primi giornali e settimanali con gli inserti di cultura, avvenimenti e costume, al fine di rendere merito alla cultura diffusa iniziando dal basso, o porre le basi canore delle manifestazioni oggi ritenute a torto memorie di battaglie e guerre cruenti.
Le vicende che confermano che la capitale degli Arbër, che tutelano il nostro patrimonio identitario in esilio perenne è “NAPOLI”.
Se alcuno, avesse dubbio o ripensamento, è solo da considerare al pari di quelle figure estranee segnalate in premessa, se poi la loro caparbietà vuole ragione, venite a Napoli: ma questa volta non come ospiti, ma allievi con il ricamo a contorno del collo, come quello appeso al muro, mi raccomando non dimenticate di apporvi il fiocchetto blu sopra il grembiulino.