NAPOLI (di Atanasio Pizzi Basile) – Sono stato in piazza Mercato, ad assistere all’assemblaggio dell’opera di Milot che apparirà, nel corso di quest’anno, in numerose città, le cui trame edilizie del passato, avranno modo di attivarsi come cunei culturali, in memoria di futuri multietnici in dialogo a venire.
Per giungervi come atto beneaugurante ho percorso la via del Lavinaio proveniente da Castel Capuano, senza passare, dove era il Castello del Carmine e, giunto sulla piazza ho salutato fraternamente l’artista e le autorità convenute, per l’inaugurazione ufficiale del manufatto arrivato dall’Albania.
L’opera, realizzata in acciaio corten, ha dimensioni ragguardevoli e per questo, non passerà inosservato, segnando grazie alle sue dimensioni, il valore indelebile di fratellanza e apertura di dialogo tra popoli.
Nel caso di Napoli, proprio quella Piazza per la sua storia, in forma di primati irripetibili di operosità, pur se mescolati con episodi, o meglio, solchi della memoria di tutti i suoi abitanti, restava in attesa di vedersi sollevati i veli, che impedivano, la tanto desiderata ripresa di attività e dialoghi, interrotti da tempo; mire e politiche senza dialogo comune del passato.
Quindi “Grande Merito” e onore sul campo ad Alfred Mirashi, detto “Milot”, per essersi incamminato in questa avventura, lui, proveniente dal centro di quella terra da noi Arbër ritenuta madre, è approdato esponendo questa sua opera, frutto dalla radice dell’educazione della sua famiglia natia; materna in arte sartoriale; e paterna in attività di pigmenti; aprendo così il percorso di dialogo smarrito tra Napoli e Albania.
Milot, approda non in un posto qualsiasi nella vasta area Metropolitana di Napoli, ma sceglie il centro antico, concentrandosi proprio in Pizza Mercato, lo stesso luogo dove un dialogo di “libero pensiero”, fu interrotto il pomeriggio alle ore 18, dell’undici di Novembre del 1799, iniziato secoli prima con l’eroe nazionale Giorgio Castriota, in quello stesso largo una mattina di primavera del 1464.
Oggi 30 marzo 2023, alle ore dieci, l’artista del “Nuovo libero pensiero”, apre alle nuove generazioni una via possibile, proveniente proprio dalla stessa regione Albanese.
La forma della chiave, rende merito alle attività di dialogo antico tra Napoli e Albania, un tempo due regni, storicamente uniti da patti di sostentamento dei familiari reali e del popolo in sofferenza perché migrante.
Un messaggio antico, prima con gli Angioini e poi con gli Aragonesi, dove gli attori protagonista di prima linea, sono l’eroe albanese con altri principi, tutti al seguire del re di Napoli in trionfo, dopo l’epica battaglia di Terrastrutta, nei pressi di Greci, il 18 agosto 1461.
La collocazione della chiave di Milot in piazza del Mercato a Napoli, apre un dialogo nuovo tra Albania e gli Arber, questi ultimi ancora numerosi, vivono e tutelano radici antiche, in forma di consuetudini e attività in oltre cento paesi dell’antico Regno di Napoli, oggi identificati come; “Regione storica diffusa degli Arbër”.
La chiave è il primo passo riconosciuto dalle autorità politiche culturali e della credenza, del Genius loci Albanofono, oggi come quello di ieri, lo stesso abitualmente posto in secondo piano a favore di altre forme, ormai vetuste e non più in grado di esprimere la forza di un componimento come quello realizzato da Milot.
Finalmente un evento nuovo, proveniente dall’Albania, qui nella antica capitale del regno, finalmente arrivano segnali nuovi, che non sono di mero vanto culturale, ma attività che superano i confini terreni e si riverberano come la luce del sole su tutto la terra.
Finalmente non solo lingua, ma arte storia fatta di cose materiali e immateriali come è la chiave torta o gli ambiti del costruito di Napoli tra spiaggi e pianoro della città greco romana, architettura e urbanistica Bizantina, la stessa che era realizzata in Albania e in ogni altro luogo dove si voleva tutelare e far germogliare le Cose dell’antica Albania.
Anche Milot ha seguito la strada che va dall’Albania a Brera per diventare figura di eccellenza; anche lui compone cose non parlanti ma silenziosi significati di fratellanza, senza prevaricazioni, il suo è acciaio forgiato con lo stesso entusiasmo dei battiti della macchina da cucire della madre, suoni mai dimenticati, per questo sono componimenti colmi di materni sentimenti, messaggi di matrimonio tra le genti del mondo.
Il suo è un traguardo che le istituzioni tutte dovrebbero tenere ben appuntato in agenda per le cose culturali del futuro, in senso di Genio.
Vero è che la chiave di questo artista, ha fatto più strada e trascinato tanto del mondo Arbanon e non solo, più di ogni altro evento senza arte, questa è la prova evidente che gli ambiti con protagonisti gli Albanofoni, non sono un mero esperimento in idioma o comunemente definita lingua altra.
Arbër e Albanesi devono essere grati a questo grande artista del centro della madre patria, per il forte riscontro mediatico raggiunto e da domani in poi avranno gli Albanofoni tutti, più luce nel mondo; lui non ha scritto libri, non ha composto alfabetari, ma come Luigi Giura, da Maschito, ha trafilato acciaio per costruire ponti di dialogo.
Ho salutato l’artista a manifestazione terminata, non prima di un fraterno dialogo, con tutte le autorità intervenute Partenopee e Albanesi in quanto rappresentante Arbër.
Un abbraccio terminato con una stretta di mano posata per tre volte a battere sul cuore mio e di Milot, un rituale mirato a sottolineare un patto di fraterna amicizia, che non smetterà mai di rigenerarsi nelle terre della regione storica diffusa degli Arbër, fatta di arte architettura e genio innovativo nato dell’Albania di ieri e in quella di oggi, per domani migliori.