Archive | luglio, 2022

I CENTRI ANTICHI NICCHIE STORICHE DI ARCHITETTURA MINORE

I CENTRI ANTICHI NICCHIE STORICHE DI ARCHITETTURA MINORE

Posted on 31 luglio 2022 by admin

12040463NAPOLI ( di Atanasio Pizzi Basile ) – Trattare il tema dell’Architettura Minore, non è un argomento semplice, perché nasce dal riassunto popolare, di quanti si sono adoperati ad estrapolare moduli abitativi dal costruito Maggiore.

Si può desumere che il costruito minore, rappresenta il sotto bosco, cui è attribuito il carattere identitario di case in continua evoluzione a partire dall’agro appena bonificato e pronto a germogliare.

L’insieme si potrebbe raffigurare a un bosco, dove gli elementi finiti, sono gli alberi ad alto fusto e tutto l’insieme in fioritura, specie quello prossimo alle superfici terrene si usa considerarle priva di valore e per questo mira di stravolgimenti, a favore dei sovrastati; “alberi di alto fusto l’Architettura Maggiore, la più emblematica e rappresentativa; il sottobosco con gli elementi più prossimi alle superfici calpestabile, l’Architettura Minore”.

Il sostantivo calpestabile, è stato volutamente usato, in quanto dalla nascita delle architetture minori, nulla è stato realizzato per la tutela di questi storici manufatti, nonostante il gran  numero innalzati, lamentava l’urgenza di istituire un catalogo utile a definirne epoche, volontà, ruoli e materiali.

Creare un’istituzione con finalità di predisporre attività, che  possano considerare storico non solo i palazzotti nobiliari nel suo insieme, ma la parte più intima , ovvero quella fondante il manufatto, nel corso della storia e la sua lenta crescita formale come ci appaiono oggi.

A tal proposito sarebbe stato utile aprire un nuovo stato di fatto in rilievo, grafico, materico e distributivo, che potesse rendere chiaro ai tecnici, le imprese e gli operatori e istituzioni locali, per evitare manomissioni gratuite, dello storico sottobosco.

Le ricerche, i rilievi avrebbero illustrato le tecniche di edificazione, gli elementi, i materiali e le malte utilizzate; gli schemi distributivi dell’edilizia residenziale povera, ossia le tradizioni costruttive in  equilibrio con i  luoghi e le disponibilità  abitative di quel tempo e in un ben identificato luogo

Ciò che resta dell’architettura della tradizione originaria, oggi rappresenta la parte essenziale dei piccoli centri antichi; il risultato storico di misure e proporzioni lente, dettate dallo scorrere dei secoli è per questo parte immortale.

L’edificato storico doveva rispondere alle minimali esigenze di abitabilità, non superava la doppia decina di metri quadri, la cui forma e sostanza, in pochi decenni ha mutato radicalmente il paesaggio storico, essendo stata sottoposto a carichi o sollecitazioni indicibili, le stesse che a ben vedere, di gran lunga superiori alle ragionevoli sollecitazioni di laboratorio, che i tecnici sono  abituati a riconoscere come benevole.

In altre parole, modeste abitazioni nate in forma di aggregati lineari o articolati in radice estrattiva, la cui consistenza non andava oltre il piano terra con l’aggiunta di un piano superiore, oggi diventate le fondamenta di costruzioni a tre, quattro livelli, con solai in cemento armato le di cui murature sono sollecitate da carichi spingenti di coperture,  mutando pesantemente la sostanza costruttiva e il paesaggio; carichi fisici e forme innaturali  riconducibili a espressione di luogo, non più compatibili in sicurezza.

Quella che oggi non ha più il ruolo di sottobosco, il costruito minore, è stato trasformato nel corso di alcuni decenni, in forma moderna residenziale, l’edilizia degli alloggi a costo irrisorio, economia a scapito dei rudimentali e originari elevati esistenti, le fondamenta di edifici destinati ad attività più moderne e complesse, in tutto,  strutture povere, senza alcun fronte estetico e materico in risposta alle sollecitazioni della statica e della dinamica.

“L’Architettura minore”, definita attraverso il Novecento, oggi vive dentro  i manufatti o insiemi, i quali è attribuito il ruolo di ambiente dei monumenti, “l’Architettura Maggiore”.

Mettere a fuoco i possibili significati che l’espressione “architettura minore” è un modo per rispondere al tema dell’equazione identificazione/tutela di un modello costruttivo sviluppatosi nel corso di  secoli.

Per terminare questa diplomatica sul costruito minore,  urge analizzare con dovizia di particolari gli  ambiti costruiti e modificati come oggi si presentano, attraverso , studi, comparazioni, analisi e progetti a scala diversa, fino alle proposte per affinare le tecniche di intervento, con lo scopo di ridurre l’impatto delle trasformazioni in disaccordo dell’uso, la cui risposta potrebbe mancare ai parametri di sicurezza e abitabilità  degli abitanti o dei turisti di breve durata.

Le architetture minori e il loro percorso evolutivo specie nei piccoli centri storici, sono un’emergenza latente, che va indagata con metodo; le amministrazioni responsabili, invece di adoperarsi in attività di accoglienza estiva a dir poco fuori luogo, celandosi dietro i paraventi dell’accoglienza culturale, dovrebbero attivarsi a indagare cosa sia stato caricato su quelle murature del passato.

Non è tempo più di fare i bimbi viziati, che vedendo i propri genitori capaci di camminare, caricano sulle spalle pesi che un tempo non si sarebbero affidati, neanche al mulo di Don Eugenio, il più robusto e caparbio mulo del paese, che oltre misura lui in quanto mulo scalciava, spezzando le corde di carico del basto, cosa che non possono fare le architetture dette minori.

Quando poi tutto sfugge di mano, è inutile chiamare antropologi confusi e senza ragione culturale, che non sapendo cosa dire, argomentano l’utilità di tutelare le processioni storiche, mentre la politica si attivano a demolire il paese, per prassi  economica condivisa.

È inutile rendere responsabile della culturali il mulo di Don Eugenio, il meschino resta sempre un mulo e più della sua forza bruta nulla può aggiungere; non gli si può chiedere disegni di prospettiva di chiese con minareti, o muri con finti panni stesi al sole, mentre quelli veri li indossa ancora sporchi Don Eugenio.

I centri storici minori, specie quelli di essenza etnica, non hanno bisogno di attrattori pittorici o grafiti di altre culture, per fare turismo e attività ricettive, in quanto, gli sheshi storici devono essere colmati  di consuetudini, ovvero i romanzi, a cui ogni figura del luogo, senza escludere nessuno, possono fornire elementi utili a innalzare i parametri economici grazie al ricordo locale delle figure più emblematiche che vi lasciarono storia.

Il ricordo quello che la minoranza festeggia a maggio con le valje, il momento più alto dedicato al costumi e la credenze, le stesse che  da millenni, senza l’ausilio della scrittura o di altro prodotto, che non sia il cuore e la mente, fanno parte del nostro essere minori.

I paesi di regione storica hanno solo urgenza di essere vissuti per tutelare i luoghi ameni; non serve, l’ausilio dei segni, per ricordare e comprendere la propria natura o il proprio passato, altrimenti a breve, viste le capacità di dialogo “litirë”, finiranno tutti per raccontare e disegnare realtà inesistente, riportate dagli ultimi che qui vi transitano per essersi smarriti in campagna perché non sapevano nulla fare.

Gli abitanti di un ben identificato centro antico, conservano autonomamente la propria memoria storica e nonostante tutto, hanno solide riserve di autonomia, quelle che li rende gente unica, perché in grado di uscire da casa e fare vita sociale, come usavano i nonni che per dare luce alle modeste case del sottobosco, usavano la calce e coprivano il fumo nero accumulato nel corso dei freddi inverni, gli stessi che iniziavano a oscurare le prospettive , ma solo all’interno delle case.

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LA CULTURA SGORGA ABBONDANTE A NAPOLI; POI ARRIVA CHI ABITUATO A PROSCIUGARE E FA POLVERE

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Posted on 18 luglio 2022 by admin

Pupi-e-PupariNAPOLI ( di Atanasio Pizzi Basile) – Napoli nella storia degli Arbër rappresenta la capitale della cultura, per questo,  si potrebbe paragonare a un lago buono, alimentato dai torrenti di acque cristalline provenienti dagli oltre cento paesi collinari della regione storica diffusa Arbër, l’ultima forza culturale che alimenta il sapere nel meridione da secoli.

La capitale partenopea da ciò, è stata e resta il luogo dove riecheggia nell’intimità dei bassi e poi su verso i cortili e le scale delle case nobiliari, la favella più antica d’Europa ovvero: l’Arbanon, Arbër, Arbën, Kalabanon, Arbëreshe, da non confondere con l’Albanese, moderna variate dello scisma del 1468.

Numerosi sono stati gli eccelsi che in ogni tempo hanno dato valore al centro antico ordinato, facendolo brillare  in cultura, società e scienza, per garbo, educazione e modi di porsi nei veri salotti culturali.

E’ sempre il popolo Arbër a trovare soluzione, strategiche, prima adoperandosi per dissodare e valorizzare terre incolte e risollevare l’economia, poi formandosi in attività di rilievo che dal 1799 riverberarono il modello dei libero pensiero in Europa, ancor oggi inviolato.

Chi vive e studia a Napoli da orfano Arbër, conosce bene luoghi, cose, e avvenimenti oltre i percorsi del processo evolutivo a cui hanno contribuito questa storica popolazione; e rimane a dir poco basito, nel vede giungere frotte di giullari reboanti, che scambiano i torrenti di limpida cultura per “butti”.

I valori culturali diffusamente divulgati da secoli, qui nella capitale, hanno perso la via dell’eccellenza, in quando sono mutate le generazioni di guida istituzionale, oltre la qualità del sapere diffuso, specie per quanti immaginano che abbarbicarsi ad un emblema, possa fornire lumi per  se e le nuove generazioni che gli danno ascolto.

La mancanza di culturale non è solo un fatto di formazione o conoscenza, ma è anche il modo con cui ci si pone per raccoglierla; certamente cantando, ballando e rumoreggiando non è il modo migliore per avvicinarsi ai saggi per ricevere in dono lo scettro per la continuità.

Ragion per la quale quei rivoli di acqua limpida, che nutrono il sapere, a ben vedere, per le nuove generazioni non appariscono sufficienti e rendono merito alla cultura, in altre parole, sono intesi come inutili rivoli a cielo aperto, con lento movimento e null’altro; senza immaginare che  il filtraggio di quelle acque prima di apparire in superficie è accarezzata da tutte le cose buone che la terra conserva nella sua memoria.

A seguito di questa premessa, la Napoli che racconta degli arbër, dal suo centro antico ordinato, i cardini, i decumani,  le piazze, i musei,  le chiese,  le porte storiche e i quartieri fuori le mura, oltre gli itinerari della memoria, tutti assieme, non hanno bisogno di quanti sono sfuggiti dai recinti dei mandamenti onciari citeriori, per apparire negli anfratti del Plebiscito a raccontare favole e far canzoni secondo le teorie dei fratelli Grimm.

A Napoli è bene che si sappia, esiste già chi ha segnato muri, pietre, anfratti, case palazzi, i quali  attendono solo di essere adeguatamente illuminati, per restituire i sostantivi per descrivere l’uomo, il tempo e i luoghi, unitariamente per tutta la regione storica, in altre parole la tanto agognata “Grammatica Arbër”.

In questa magica città, ogni strada, vicoli, anfratto piazza o elevato conosce la storia e tutto quello che qui accadde, grazie a figure di elevata cultura, che scolpirono ogni cosa; solo quanti si recano in rispettoso silenzio, riescono ad ascoltare il suono del vento che genera notizia, senza strimpellare musical, come si fa in altri meridiani, altrimenti si copre ogni cosa e non si ode nulla.

Napoli e la sua riserva di acqua limpida, sono una risorsa naturale per il giardino dove si producono certezze storiche; quanti immaginano di potervi sbarcare seminando fatuo, sbagliato luogo, allo scopo è bene precisare che chi sale in cattedra per germogliare cultura, o è certo della genuinità delle semi che ha in mano  o va in altri fiumi più a est, dove tutti sono liberi di seminare la propria confusione condivisa.

Non si possono liberamente iniziare dibattiti, per valorizzare figure, per poi terminare con prestiti e i titoli altrui, il problema è sempre lo stesso; serve avvicinarsi silenziosamente all’argomento, senza rumore, in questo caso specifico, senza partire da casa inneggiando falsità, bastava ascoltare gli echi dei torrenti locali ancora grondanti di sangue, giustappunto, facendosi aiutati dalle generazioni di un tempo ancora formate, presenti e informate dei fatti; almeno avreste evitato d’intorpidire sin anche l’indiscreto fiume Sebeto.

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