NAPOLI ( di Atanasio Pizzi Basile ) – Trattare il tema dell’Architettura Minore, non è un argomento semplice, perché nasce dal riassunto popolare, di quanti si sono adoperati ad estrapolare moduli abitativi dal costruito Maggiore.
Si può desumere che il costruito minore, rappresenta il sotto bosco, cui è attribuito il carattere identitario di case in continua evoluzione a partire dall’agro appena bonificato e pronto a germogliare.
L’insieme si potrebbe raffigurare a un bosco, dove gli elementi finiti, sono gli alberi ad alto fusto e tutto l’insieme in fioritura, specie quello prossimo alle superfici terrene si usa considerarle priva di valore e per questo mira di stravolgimenti, a favore dei sovrastati; “alberi di alto fusto l’Architettura Maggiore, la più emblematica e rappresentativa; il sottobosco con gli elementi più prossimi alle superfici calpestabile, l’Architettura Minore”.
Il sostantivo calpestabile, è stato volutamente usato, in quanto dalla nascita delle architetture minori, nulla è stato realizzato per la tutela di questi storici manufatti, nonostante il gran numero innalzati, lamentava l’urgenza di istituire un catalogo utile a definirne epoche, volontà, ruoli e materiali.
Creare un’istituzione con finalità di predisporre attività, che possano considerare storico non solo i palazzotti nobiliari nel suo insieme, ma la parte più intima , ovvero quella fondante il manufatto, nel corso della storia e la sua lenta crescita formale come ci appaiono oggi.
A tal proposito sarebbe stato utile aprire un nuovo stato di fatto in rilievo, grafico, materico e distributivo, che potesse rendere chiaro ai tecnici, le imprese e gli operatori e istituzioni locali, per evitare manomissioni gratuite, dello storico sottobosco.
Le ricerche, i rilievi avrebbero illustrato le tecniche di edificazione, gli elementi, i materiali e le malte utilizzate; gli schemi distributivi dell’edilizia residenziale povera, ossia le tradizioni costruttive in equilibrio con i luoghi e le disponibilità abitative di quel tempo e in un ben identificato luogo
Ciò che resta dell’architettura della tradizione originaria, oggi rappresenta la parte essenziale dei piccoli centri antichi; il risultato storico di misure e proporzioni lente, dettate dallo scorrere dei secoli è per questo parte immortale.
L’edificato storico doveva rispondere alle minimali esigenze di abitabilità, non superava la doppia decina di metri quadri, la cui forma e sostanza, in pochi decenni ha mutato radicalmente il paesaggio storico, essendo stata sottoposto a carichi o sollecitazioni indicibili, le stesse che a ben vedere, di gran lunga superiori alle ragionevoli sollecitazioni di laboratorio, che i tecnici sono abituati a riconoscere come benevole.
In altre parole, modeste abitazioni nate in forma di aggregati lineari o articolati in radice estrattiva, la cui consistenza non andava oltre il piano terra con l’aggiunta di un piano superiore, oggi diventate le fondamenta di costruzioni a tre, quattro livelli, con solai in cemento armato le di cui murature sono sollecitate da carichi spingenti di coperture, mutando pesantemente la sostanza costruttiva e il paesaggio; carichi fisici e forme innaturali riconducibili a espressione di luogo, non più compatibili in sicurezza.
Quella che oggi non ha più il ruolo di sottobosco, il costruito minore, è stato trasformato nel corso di alcuni decenni, in forma moderna residenziale, l’edilizia degli alloggi a costo irrisorio, economia a scapito dei rudimentali e originari elevati esistenti, le fondamenta di edifici destinati ad attività più moderne e complesse, in tutto, strutture povere, senza alcun fronte estetico e materico in risposta alle sollecitazioni della statica e della dinamica.
“L’Architettura minore”, definita attraverso il Novecento, oggi vive dentro i manufatti o insiemi, i quali è attribuito il ruolo di ambiente dei monumenti, “l’Architettura Maggiore”.
Mettere a fuoco i possibili significati che l’espressione “architettura minore” è un modo per rispondere al tema dell’equazione identificazione/tutela di un modello costruttivo sviluppatosi nel corso di secoli.
Per terminare questa diplomatica sul costruito minore, urge analizzare con dovizia di particolari gli ambiti costruiti e modificati come oggi si presentano, attraverso , studi, comparazioni, analisi e progetti a scala diversa, fino alle proposte per affinare le tecniche di intervento, con lo scopo di ridurre l’impatto delle trasformazioni in disaccordo dell’uso, la cui risposta potrebbe mancare ai parametri di sicurezza e abitabilità degli abitanti o dei turisti di breve durata.
Le architetture minori e il loro percorso evolutivo specie nei piccoli centri storici, sono un’emergenza latente, che va indagata con metodo; le amministrazioni responsabili, invece di adoperarsi in attività di accoglienza estiva a dir poco fuori luogo, celandosi dietro i paraventi dell’accoglienza culturale, dovrebbero attivarsi a indagare cosa sia stato caricato su quelle murature del passato.
Non è tempo più di fare i bimbi viziati, che vedendo i propri genitori capaci di camminare, caricano sulle spalle pesi che un tempo non si sarebbero affidati, neanche al mulo di Don Eugenio, il più robusto e caparbio mulo del paese, che oltre misura lui in quanto mulo scalciava, spezzando le corde di carico del basto, cosa che non possono fare le architetture dette minori.
Quando poi tutto sfugge di mano, è inutile chiamare antropologi confusi e senza ragione culturale, che non sapendo cosa dire, argomentano l’utilità di tutelare le processioni storiche, mentre la politica si attivano a demolire il paese, per prassi economica condivisa.
È inutile rendere responsabile della culturali il mulo di Don Eugenio, il meschino resta sempre un mulo e più della sua forza bruta nulla può aggiungere; non gli si può chiedere disegni di prospettiva di chiese con minareti, o muri con finti panni stesi al sole, mentre quelli veri li indossa ancora sporchi Don Eugenio.
I centri storici minori, specie quelli di essenza etnica, non hanno bisogno di attrattori pittorici o grafiti di altre culture, per fare turismo e attività ricettive, in quanto, gli sheshi storici devono essere colmati di consuetudini, ovvero i romanzi, a cui ogni figura del luogo, senza escludere nessuno, possono fornire elementi utili a innalzare i parametri economici grazie al ricordo locale delle figure più emblematiche che vi lasciarono storia.
Il ricordo quello che la minoranza festeggia a maggio con le valje, il momento più alto dedicato al costumi e la credenze, le stesse che da millenni, senza l’ausilio della scrittura o di altro prodotto, che non sia il cuore e la mente, fanno parte del nostro essere minori.
I paesi di regione storica hanno solo urgenza di essere vissuti per tutelare i luoghi ameni; non serve, l’ausilio dei segni, per ricordare e comprendere la propria natura o il proprio passato, altrimenti a breve, viste le capacità di dialogo “litirë”, finiranno tutti per raccontare e disegnare realtà inesistente, riportate dagli ultimi che qui vi transitano per essersi smarriti in campagna perché non sapevano nulla fare.
Gli abitanti di un ben identificato centro antico, conservano autonomamente la propria memoria storica e nonostante tutto, hanno solide riserve di autonomia, quelle che li rende gente unica, perché in grado di uscire da casa e fare vita sociale, come usavano i nonni che per dare luce alle modeste case del sottobosco, usavano la calce e coprivano il fumo nero accumulato nel corso dei freddi inverni, gli stessi che iniziavano a oscurare le prospettive , ma solo all’interno delle case.