NAPOLI (di Atanasio Arch. Pizzi Basile) -Nello studio degli elementi che caratterizzano i luoghi attraversati, bonificati e vissuti dalle genti arbëreshë, oggi, sono in auge appellativi quali: Borgo Arbëreshë, Sheshi la Piazzetta, Gjtonia come il Vicinato, o addirittura Gjtonia come Rione e Quartiere (????????????????).
Per essi i dipartimenti, elevati per rafforzare i percorsi storici o meglio l’evoluzione della lingua, non hanno svolto alcuna azione identificativa per marcare la distinzione, dal comunemente indigeno, a quanto attribuito agli arbëreshë.
I temi di questi luoghi istituzionali hanno preferito seguire le gesta di Diogene, invece che tracciare una strada comune o almeno stendere un filo di guida identitaria a modo di “Arianna” cui affidarsi per non perdersi nel buio dei boschi la retta via.
Rimane inesorabile ad oggi lo scenario delle riverberate divagazioni, privata della più elementare base culturale, tale da poter fornire almeno una spalla certezze, in quanto sono stati seguiti i protocolli processuali o rotacismi linguistici, terminando l’inutile corsa all’oro, addirittura accogliendo le divagazioni di figure il cui unico titolo era racchiuso nel volume del campanile innalzato con pena e opere di carità, muratura incerta senza un idoneo legante di sapienza scientifica.
Non è più tempo di eleggersi storici, immaginando che la ricerca sia un giudizio dove trionfa chi ha più testimoni e prove documentali da esibire.
Lo storico è simile ad uno atleta che scala una montagna; la cima potrà raggiungerla solamente se ha energie, capacità e intelletto fuori dal comune.
È inutile addentrarsi in luoghi e ambiti articolati o dove nessuno per rispetto dei propri avi non ha mai osato, la montagna sacra, si potrà scalare solo con un buon progetto a tappe predefinite; nulla è scontato o garantito perché la prima volta ti porta ad indagare e prendere le misure, solo dopo in seguito con la giusta cautela e tanto sacrificio si raggiunge la cima.
Saranno tante le volte che si dovrà tornare in dietro e rivedere il progetto, perché non esistono capitolazioni a cui aggrapparsi, non esistono catasti onciari a cui assicurare le corde; quando si scala la montagna si è soli, l’unico supporto logistico sono il bagaglio di conoscenza, l’elasticità mentale: solo su di esse si può contare per scalare la montagna e raggiungere la meta ambita.
Una catastrofe culturale in senso di attribuzioni accadimenti senza precedenti imperterrita invade gli ambiti della regione storica arbëreshë e nonostante un grande velo di buon senso si prodigano ad avvolgere il patrimonio per evitare usurpazioni, è sempre numerosa l’avanzata degli “ArbhAttila con le mani volte al cielo” in cerca di un equilibrio che non troveranno mai e intanto rendono arido ogni anfratto in cui transitano.
A tal proposito e bene precisare, che gli arbëreshë, notoriamente tramandano il codice identitario, nella sola forma orale ritmata nelle consuetudini pagane e della religione, greco bizantino.
La forza di tale sistema è regolata da figure fondamentali quali; il capofamiglia, lo stato, la forza decisionale e quella politica economica la moglie, un sistema forte e invalicabile che sino a quando è stato rispettato e condiviso ha dato risultati solidi.
I paesi di origine arbëreshë, innalzati a seguito di ripopolamento programmato secondo le arche definite, dallo stratega Giorgio Castriota e i regnanti Angioni nelle regioni dell’Italia meridionale, sono tutti caratterizzati da elementi identitari, riconducibili a: epoca, luogo e sistema urbano e toponomastica.
Relativamente al periodo storico esso comprende il basso medioevo e l’inizio del rinascimento, era questa l’epoca che gli arbëreshë sceglievano il luogo dove insediarsi seguendo le direttive secondo l’antico enunciato di Aristotle.
Il principio prediligeva, aree collinari, le stesse che notoriamente i luoghi del trittico dell’agricoltura mediterranea: vite, ulivo e cereali.
I piccoli centri si sviluppano sotto l’aspetto urbano secondo quattro fuochi, gli stessi che caratterizzano tutti gli insediamenti Arbanon lungo le antiche arche ovvero: Kisia, il luogo di culto, Brègù, l’ambito di avvistamento, Sheschi, gli insediamenti civili e Katundë, le aree di interscambio o di movimento sociale e culturale.
La sub-regione calabrese citeriore, assieme alla parte confinante ulteriore, in virtù di storia, politica e sociale, sono sempre state oggetto di lasciti forzati, nuove fondazioni o ripopolamento territoriale, che poi trovavano come luogo di identificazione e protezione i detti “centri storici minori”.
La macro area, nota per l’alto grado di sismicità e rischio idrogeologico è stata spesso scenario di questi fenomeni sociali le cui conseguenze innescavano processi le cui conseguenze a breve e lungo termine erano rispettivamente: distruzione, abbandono e bisogno di ricominciare.
Se a tutto questo protocollo, avuto luogo più volte, associamo le carestie e le pandemie di macro area, a rigenerarsi e ripopolare questi ambiti, sono state sicuramente le popolazioni di un “livello caparbio superiore”.
Una buona parte di questi centri minori, sono stati totalmente abbandonati, mentre in altri casi la popolazione si è trasferita in quei pochi sistemi abitativi, posti a satellite dei centri più rappresentativi, che erano risultati miracolosamente poco danneggiati o facilmente riedificabili.
A interessare questo breve scritto, sono proprio quei centri, che si possono identificare anche come luoghi di rifugio, per quanti predisponevano per valorizzare o rendere produttivi terreni incolti o idonei ad essere bonificati, in specie questi centri abitati sono denominati: Kastro, Motte, Casali, Villaggi, Terre, Vichi e Katundë.
Sono questi a contenere e sigillare l’alto potenziale storico delle genti che trovarono rifugio in questi modelli urbanistico abitativi e le forme elementi furono indispensabili modelli che se opportunamente letti, attraverso uno studio approfondito e sistematico, che poi sono le indiscusse, carte attraverso cui tracciare le diverse tipologie insediative o crono tipologie dei materiali.
Un iter che sino ad oggi, ha dato i suoi frutti e rese chiare le tecniche costruttive, veri e propri manuali del costruito e del caratterizzato arbëreshë, a seguito di patti sociali, indispensabili a generare urbanistica, architettura e tecniche costruttive, risorsa del circostante habitat rurale di quelle aree.
Le certezze potrebbe essere ancor più solida, con non poche difficoltà, ma comunque con pochissimi contributi economici privati, il cui risultato darebbe il via a una serie di analisi e ricerche su un numero ben identificati di centri antichi minori di origine arbëreshë, gli stessi che a seguito di analisi sono ritenuti rappresentativi delle più radicate tradizioni tipologie, le stesse ad avere interessato la Calabria Alto Medioevo, all’alba dell’epoca Moderna.
In riferimento a quanto già racconto e definito con risorse private, in un circoscritto numero di Katundë, andrebbero analizzati un complesso cinto ben identificato più ampio, composto da un articolato sistema di case, strade, vicoletti, spazi e chiese, sviluppatesi seguendo l’orografia del luogo, un vero e proprio agglomerato “rurale diffuso”, nato con il fine di promuovere la messa coltura, prevalentemente a grano e foraggio, coadiuvato da uliveti, vigneti e cereali, medie e grandi distese che si articolano con irregolari ma dolci profili tra le alture del pollino e della presila comunemente detta greca, non per le popolazioni che sono arbëreshë, ma per il credo religioso alessandrino.
Le ricerche sono indirizzate anche, verso presidio militare posto a tutela del limes dai Bizantini contro la minaccia longobarda.
La scelta di questo contesto territoriale è stata dettata dalle particolari caratteristiche dell’area e dalla possibilità di analizzare al suo interno tipologie insediative differenti e dal diverso iter storico.
Gli studi condotti sugli insediamenti della regione mostrano una tipologia di occupazione del territorio caratterizzata da un sistema difensivo ben radicato, con rari stabilimenti di tipo urbano fortificato,in quanto l’abitato prediletto appare univocamente sparso e aperto, non di rado ruotante attorno a, enceintes refuges, promontori la cui fortificazione naturale, ra il luogo dove poter trovare rifugio in caso di necessità.
Questa tipologia d’insediamenti è sorta in funzione della difesa programmata della regione, nel tempo subirà un forte ridimensionamento, limitandosi alla difesa di territori sempre più circoscritti e immediatamente adiacenti, secondo un modello insediativo enucleato che sembra caratterizzare ampie regioni, centro-meridionale.
Kastra a diretto controllo sui numerosi “chorìa”, termine utilizzato per designare tanto il villaggio rurale, quanto il suo territorio di pertinenza, generalmente sfruttato nella coltivazione di ulivi, viti e gelso, e che nell’ordinamento bizantino indicava anche la minima unità fiscale.
La presenza del kastron è stata sicuramente uno dei fattori caratteristici nell’evoluzione del territorio contiguo, favorendo sviluppare in senso rurale, delle varie zone di pertinenza grazie anche, alla presenza di fondazioni monastiche italo greche.
I Monasteri sorgevano nei pressi dei centri di controllo del territorio e le pertinenze di origine arbanon, formando in questo modo un vero e proprio sistema fatto di luoghi di clericali liberi e murati dell’anima, come quelli amministrativi e di operosità, in tutto un modello dello sostenibile del territorio in cui gli ultimi trainavano senza gloria l’intero sistema.
I sistemi abitativi o centri storici minori si reggono su elementi i cui fondamenti fissano le radici nelle teorizzazioni del luogo a impronta di greci, alessandrini e di tutte quelle popolazioni che hanno reso il bacino del mediterraneo un esempio naturale di vita e di cooperazione tra popoli, lo stesso che è stato nel corso della storia sempre dieci passi più avanti rispetto alle altre popolazioni del globo intero.
Cosi quando comunemente trattiamo e parliamo del noto sheshi, genericamente fatto terminare o finire nel piccolo spazio davanti casa o che mediamente si estende sino a quello del vicino più prossimo, bisogna stare più attenti.
Lo Sheshi è un sistema articolato che avvolge più isolati, un innumerevole sistema di stradine piccole finestre gemellate alle porte delle case, un sistema compatto, intimità costruita dall’uomo del sistema gjitonia.
Lo spazio esterno ovvero quello agreste è quello dello spazio di comune convivenza all’interno del Katundë hanno come ideale murazione il sistema “ingressi finestrelle e strette strade inerpicanti”, una sorta di prova identitaria prima di accedere allo spazio comune che conduce nelle proprie abitazioni.
“Sheshi” non è uno spazio non meglio identificato è una prova identitaria, dove si giunge solo se riconosciuti, diversamente non ti farà mai vedere la luce di quello spazio intimo, se ciò avviene abitualmente conferma di essere stato accolto e di fare parte della famiglia allargata arbëreshë, diversamente dagli altri che vagano e non sapranno mai quando giungeranno a destinazione.