NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Quando gli arbëreshë dovettero abbandonare le proprie terre di origine e sbarcarono lungo le coste dell’Adriatico e dello Jonio, avviarono la procedura di studio e ricerca, per evitare di produrre inutili ferite al territorio, come sancito nel codice identitario tramandato oralmente.
Questa è una consuetudine che rende gli arbëreshë unici nel loro genere, in quanto, la tradizione di conservare tutelare e vivere nel rispetto del territorio non è trascritta in nessun codice ma riportata oralmente tra generazione.
Nonostante ciò quanti non sono arbëreshë cercano di tutelare secondo disciplinari la pizza perfetta, l’olio di origine territoriale, il migliore vino con essenze irripetibili, il manicaretto locale e per ogni genere di prodotto che segna le tradizioni locali di quel territorio.
Ciò tuttavia, quando si tratta di architetture o si deve incidere segni sul territorio, tutto si dissolve nel nulla e il libero arbitrio, specie di quanti abituati a operare nei deserti africani dove mai nessuno ha dato una traccia da rispettare, viene nei luoghi della storia a seminare avena fatua.
i Greci, infatti, a loro giudizio, facevano ricadere la responsabilità della barbaria ai Persiani, agli Indiani e, ai fortiori (geograficamente), i Cinesi escludendo l’Egitto.
Ho visto “la stazione” nata dove iniziano a defluire i regi lagni campani, nella piana che si estende tra la Reggia di Caserta e la Capitale europea della cultura, il luogo storico dei fortilizi, segnato dall’operosità degli uomini che sono stati eccellenza in Europa.
Dire che il buon segno architettonico ha smarrito la retta via è eufemismo, anzi, è il caso di suggerire alle istituzioni che immaginano un centro commerciale nello storico “Leonardo Bianchi”, di pensare se sia il caso di ripristinarlo.
Sino a poco tempo addietro trovavo indignazione all’innalzato de locativo arbëreshë nella valle del Crati, ma come sperso succede, le cose realizzate dall’uomo non hanno limite nello stupire e nei giorni scorsi la visita “della stazione campana”, ha prodotto una irreparabile ferita culturale nella mia conoscenza professionale; attraversare un irresponsabile e interminabile budello; il prodotto scaturito dalla bontà dell’ottimo vino locale, le cui botti una volta svuotate, a noi architetti locali , non hanno conservato altro che le Lacryme di Cristi, che purtroppo, non sono buone per ripristinare la cultura dismessa del territorio.
Come è possibile che gli uomini si diano tanto da fare per innalzare vittoriosi un disciplinare rigido per la pizza campana, l’olio della Puglia, il vino Abruzzese, che sono beni di consumo e quando si tratta di tutelare le connotazioni ambientali e fisiche del territorio, non si pretende un rigo disciplinare sostenibile delle tre fasi progettuali?
Cosa ci impedisce, prima di attivarci a intaccare il territorio, di realizzare un corposo fascicolo storico su cui studiare prima di incidere segni sul territorio?
Una cospicua relazione d’indagine che ponga in essere le vicende che legano uomini e territorio.
I tecnici moderni specie quelli formati durante l’esplosione economica del petrolio, non sanno e non conoscono, perché archistar, cosa sia il GENIUS LOCI, associato al termine di «etnocentrismo» ingredienti fondamentali per polarizzare l’arte locale e in seguito disegnare la giusta forma che lega ambiente naturale e ambiante costruito.
Ciò non accade per caso ma è un’arte che pochi possiedono, oggi è diventato facile essere protagonisti con i beni di consumo, complicatissimo lo è per ciò che termina e manomette indelebilmente il rapporto tra territorio, natura e uomini.
Il traguardo non deve mirare a riparare “l’errore progettuale”, arricchendolo con i dissociativi centri commerciali o musei di epoca romana, greca o bizantina, giacché l’espressione architettonica deve diventare il valore aggiunto al territorio senza disarmonie con l’ambiente naturale.
Solo il buon progetto, realizzato secondo il disciplinare rispettoso della storia e dell’architettura, nasce forte e gli uomini che vivono il territorio quando lo vedono crescere, lo accolgono e lo fanno proprio.