NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – La crescente mobilità di persone, generi alimentari e merci, associata alla rapida diffusione delle tecnologie d’informazione/comunicazione, rende oggi i tradizionali modelli monocentrici inadatti per rispondere adeguatamente alle complesse dinamiche dei centri urbani .
Il sistema policentrico che gli arbëreshë utilizzarono nel meridione Italiano sin dal XV secolo importandolo dalle terre di origine, è un esempio dell’urbanistica avanzata, giacché consentiva di attuare la migliore cooperazione economia/sociale su un determinato territorio, oltre a garantire la pluralità identitaria dei diversi gruppi.
Il concetto di policentrismo costituisce, dal punto di vista teorico, una sorta di opposizione all’interpretazione “tradizionale” della gerarchia urbana, riferita semplicemente a dimensioni “massa” e funzioni delle città tendenzialmente chiuse, monocentrica.
Sotto questa luce, il dibattito sul policentrismo urbano, oggi, non va inteso unicamente sulla differente dimensione dei sistemi territoriali, ma sulla varietà e diversità delle funzioni; la distribuzione e le conseguenti relazioni d’integrazione e interdipendenza tra i poli.
Instaurare convivenza tra individui in un determinato luogo per gli arbëreshë è stato semplice in quanto abituati alle regole delle famiglie allargate; convivenza di gruppi di simili finalità sociali, e fervidi conservatori della propria identità nel senso largo della parola; stesso territorio, stesse esigenze di valorizzazione territoriali, non tralasciando i propri adempimenti identitari, che pur se posti a confronto tra di loro assumevano dimensioni di civile convivenza diffusa.
Il concetto di questo fenomeno può riassumersi essenzialmente in due dimensioni, definendo un policentrismo di tipo areale e un altro di tipo reticolare; il primo, rappresenta la presenza sul territorio di più polarità nell’ambito di un tessuto urbano, economico e sociale tendenzialmente diffuse, tradotto secondo le macroaree della R.s.A. ripresenterebbero le singole macroaree meridionali minoritarie; il secondo, invece, va inquadrato come interazioni e interdipendenze di un territorio esteso da cui possono interlacciare rapporti etno turistici, oltremodo rappresentato da tutta la Regione storica Arbëreshë, attraverso la quale promuovere eccellenza etnominoritarie, realizzando una maglia interlacciata tra le macroaree.
Le dinamiche policentriche, infatti, tendono a individuare e considerare la presenza di determinati settori specifici di ogni area, dotata di vocazioni particolari, siano esse, economiche, ambientali, orografiche o industriali, ma tutte unite dagli stessi intenti linguistici, sociali e culturali.
Le connessioni, infatti, non sono basate soltanto da relazioni fisiche o materiali, ma anche, e/o soprattutto, da quelle immateriali.
Le connessioni materiali possono essere riferibili all’accessibilità dei poli (infrastrutture lineari, su strada o su linea ferrata, e di quelle puntuali, porti, aeroporti, interporti) e alla tipologia degli scambi (persone, beni, merci…).
Le relazioni immateriali ruotano invece attorno a meccanismi di reti capaci di connettere le specificità territoriali per mezzo di attività sociali, economiche, ambientali o culturali.
Diventano, a questo punto, fondamentali le infrastrutture in chiave di accessibilità alle reti piuttosto che quelle per la movimentazione delle merci, le competenze professionali nei settori innovativi piuttosto che la quantità di forza lavoro e le interazioni tra le istituzioni pubbliche locali (soprattutto per gli interventi nel campo dei servizi).
Il tema del policentrismo acquista significati diversi e in funzione della scala alla quale è riferito il risultato finale a cui si vuole addivenire.
La R. s. A. oggi vive un momento di totale confusione per una serie di attività che si svolgono e non sono connesse tre di loro, motivo per il quale si crea una confusione diffusa in cui l’opera di un gruppo annulla quella di altri o si sovrappongono per creare stati di fatto irreali e inutili.
Una regione che nei fatti potrebbe essere una risorsa inestimabile, non ha una connessione che garantisce intenti comuni e pone in essere, attività, rievocazioni o costruisce contesti senza controllo, sminuendo costantemente il valore intrinseco ed estrinseco di ogni macroarea,
Il punto di forza per gli arbëreshë è sempre stato l’affidare a ogni componente un ruolo che era esclusivamente per merito, in funzione delle capacità individuali, se oggi quelle regole fossero applicate per la gestione di tutta la Regione storica Arbëreshë si rinnoverebbero quei punti di forza che grazie al supporto delle più moderne tecnologie, attiverebbero un sistema diffuso di energia capace di rendere più capillare la continuità storica di questo popolo, rimasto radicato nel bacino mediterraneo in stretta convivenza con popoli di lingua tradizioni e religioni differenti.
Per avviare un progetto di tali caratura bisogna indagare in maniera appropriata le dinamiche territoriali nel corso della storia e quale supporto migliore delle cartografie storiche.
Esse sono vere e proprie opere di cesello artistico, in quanto rievocano graficamente l’utilizzo del territorio nel corso dei secoli, assi viari, le consistenze edilizie, porti, percorsi fluviali, canali torrentizi, offrendo in questo modo una visione generale su quanto essi incidessero sull’economia su quel determinato ambito.
Il rilevante numero di dati che si possono ottenere dai documenti cartografici intrecciati con un modello G.I.S. (Geographic Information System) comparati con i titoli sicuramente forniranno le tappe evolutive di uno dato territorio.
Le cartografie furono realizzate per volere dai regnanti, allo scopo di controllare le varie macroaree territoriali, comprendere le reazioni economiche e quindi individuare strategie future di sviluppo sostenibile e garantire profitti per vertici politici ed ecclesiali.
Comparare e sovrapporre le cartografie del territorio aiutano a definire le linee di costa in cui gli ingredienti sociali accostati all’orografia delle colline citeriore, trovarono il giusto microclima per far germogliare quelli che oggi sono identificati come i paesi di minoranza arbëreshe.
Per questo le cartografie diventano documenti fondamentali a fornire quelle certezze che sino a oggi sono state ricercate nelle inflessioni linguistiche o nelle favole, che raccontate a stretto contatto dei fumi di camini/focolai, hanno annerito la storia di un popolo che ha fatto dell’abnegazione per se e per gli altri una ragione di vita.