NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – L’enciclopedia Treccani descrive gli Stati Generali come l’assemblea dei rappresentanti dei 3 ordini o Stati (clero, nobiltà e ‘terzo Stato’, ossia la borghesia), prima della Rivoluzione nel Regno francese.
Volendo accumunare questi sostantivi agli albanofoni odierni, sarebbe identificabile rispettivamente nel clero, nei letterati e nei cultori.
Tutti uniti dal legame di sangue albanese, per esaltare i propri diritti della Legge del 15 Dicembre 1999, n. 482,che ha moltiplicato come per miracolo storico il numero dei grecanici a scapito degli albanofoni, così anche quando si promuove il ricordo di luminari o la realizzazione di sagre ed eventi tra i più disparati; in questi casi pronti a dare battaglia sotto la bandiera bicipite, in favore dei valori caratteristici della minoranza.
Purtroppo lo stesso entusiasmo e gli stessi principi, con molto dispiacere, nei giorni scorsi non li ho riscontrati nel leggere le relazioni della conferenza di servizi che ha riunito i vertici della regione Calabria, della Provincia di Cosenza e del Comune per la delocalizzazione del centro albanofono di Kaiverici i vjeter.
Dalla diffusione della notizia dell’evento franoso, alla realizzazione del progetto, sono trascorsi oltre otto anni, nessuno degli Stati Generali, Associazioni, Proloco o liberi movimenti atti alla valorizzazione delle pertinenze albanofone, ha sprecato una parola, nonostante gli organi di informazione e i prodotti messi a stampa ci informavano che c’èra la volontà di costruire un intero paese albanofono, delocalizzandolo dal suo vecchio sito, depositando al suo interno la Gjitonia (?) e non una ma, addirittura, cinque (?).
A questo punto due sono le domande che è legittimo porsi; o nessuno ha consapevolezza di che cosa sia la gjitonia; oppure la volontà di difesa e valorizzazione delle pertinenze è solo un sentimento platonico.
Vero è che tanti arbëreshë, quanto si contano nelle dita di una mano, sono stati costretti, nonostante minoranza linguistica, ad addossarsi la croce sostenendosi esclusivamente negli ideali arbëri, depositati nel loro piccolo agglomerato da cui erano stati allontanati.
Oggi nonostante una sentenza abbia dato a loro ragione, i perseguitati albanofoni, rimangono ancora da soli e nessuno supporta le loro ragioni che affondano le radici in quei dettami identici a quelli di tanti paesi minoritari della Calabria, della Sicilia, del Molise della Puglia e di Lucania, che potrebbero vivere lo stesso trauma sociale.
Da nessuna di queste regioni i discendenti del Kanun o dei Koronei ha soffiato un alito di vento a sostegno dei valorosi abitanti di Kaiverici i vjeter.
Questi ultimi rappresentano l’esempio moderno della vera arberia, armati di una grande forza di volontà hanno difeso la storia di noi tutti (per coloro che non lo sanno, questa è l’originario significato della gjitonia), salvaguardando il modello sub urbano arbëreshë e non solo.
I valori di appartenenza sono gli stessi che nel quattrocento indussero il Kastriota alla guida del piccolo esercito di Albanesi a impartire dure lezioni a chi metteva a rischio gli stessi principi della fratellanza albanofona.
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