Posted on 24 settembre 2011 by admin
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Posted on 24 settembre 2011 by admin
NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – La città del sole, Katùndi Dialit, è la proiezione di un modello di società giusta e pacifica in un luogo immaginario, nella realtà essa rappresenta un’utopia letteraria, per la netta frattura tra la realtà storica e l’esigenza di quel periodo.
Tommaso Campanella, ipotizza l’esigenza di un totale rinnovamento civile e spirituale.
L’opera, è scritta sotto forma di dialogo tra due personaggi; l’Ospitalario, cavaliere dell’ordine di Malta e il Genovese, nocchiero di Colombo.
Quest’ultimo racconta di aver girato il mondo scoprendo nell’isola di Taprobana, odierna Sri Lanka, una città ideale per tipologia urbana, per le leggi in vigore ed i costumi.
La città si eleva su un colle ed ha struttura circolare, realizzata in sette gironi di mura grandissime e concentriche, i cui nomi sono presi da sette pianeti.
La struttura urbana si ritiene che sia inespugnabile poiché ogni girone è fortificato da mura che sono impossibile da superare, il che implicherebbe che qualora il primo dei gironi fosse travalicato, l’impresa dovrebbe essere ripetuta per ben sette volte. Continue Reading
Posted on 19 settembre 2011 by admin
ROMA (di Paolo Borgia) La costituzione dello Stato unitario italiano compie 150 anni. Una costruzione – ancora incompleta – che diede allora una definizione istituzionale ad una penisola appenninica già caratterizza da una cultura molto ricca e multiforme ma dotata da un carattere unitario che era andato crescendo nel tempo secolare. La commemorazione del 150° anniversario è l’occasione per riscoprire le ragioni storiche della unità d’Italia, la sua identità e la sua “missione”. E’ un riscoprire le radici culturali e politiche che possono servire da base per il mantenimento dell’unità e della dignità politica dell’Italia: scopo stesso del processo politico fisiologico che si deve fare carico di traghettare l’unità di partenza all’unità di arrivo, confermata e consolidata, e che l’apparato politico oggi non realizza.
Il Risorgimento costituì l’epilogo di un notevole sviluppo identitario iniziato molto tempo prima, alla cui costruzione contribuì in modo fondamentale l’opera della Chiesa romana con le sue istituzioni educative ed assistenziali, con le sue rigide norme comportamentali, con le sue efficienti configurazioni istituzionali ma anche nei rapporti sociali, nell’arte ed altro. Ma in modo particolare la scaturigine del Risorgimento si deve alla diffusione del messaggio irradiato dalla rivoluzione francese e napoleonica, coagulando nei 50 anni, che precedettero il 1861, adesioni alle rivendicazioni di libertà e ai moti rivoluzionari.
Come dice Costantino Mortati «il principio unitario della volontà sovrana», la “nazione” non veniva espressa direttamente dal popolo ma da una classe illuminata, gli eletti, senza vincoli di mandato elettorale. Questa classe di appartenenza borghese si autodichiara “classe generale”, tendente a realizzare uno stato moderno centralistico liberale. Si tratta di una unità istituzionale, dove la “sovranità popolare” non è considerata prioritaria. Si tratta di una “volontà generale” di una minoranza, in cui la mancanza di una “sovranità popolare” porterà alla mancata realizzazione di 2 dei 3 principi del “trittico” del 1789 (uguaglianza e fraternità) e perciò della parziale realizzazione del concetto di “cittadinanza”. Da ciò inevitabilmente scaturisce il ritardo italiano nella reale emancipazione, nella “sproletarizzazione della società civile”, già presente sulla attuale carta costituzionale ultracinquantenaria.
D’altra parte l’espressione “Stato nazionale” appare artificile e precaria laddove storicamente preesistevano “nazionalità spontanee” e la loro integrazione forzata attraverso l’imposizione di una lingua unica, di una educazione scolastica con programmi unificati, della coscrizione obbligatoria mostrano con chiarezza che si trattò di introduzione di una “nazionalità dominante” di “moderati” (Antonio Gramsci). Oggi, però, si è costituita una identità nazionale che riesce a convivere, in una tensione continua e problematica, con le nazionalità spontanee italiane. Ciò non ha nulla di miracoloso ma è dovuto al cammino di sofferenza comune del Paese ma anche a quella tradizione di sacralità civile che si chiama Neri, Bosco, d’Acquisto, Olivelli, Moro, Livatino, Falcone, Borsellino, Rossa, Bachelet, Biagi…
Oggi celebriamo l’unità d’Italia, consapevoli che ci sono antichi problemi, solo parzialmente risolti, e nuove sfide da affrontare. Oggi celebriamo “gli italiani, brava gente” che hanno sempre saputo ripartire da un nucleo fondamentale di valori condivisi, direi congeniti, alla cui base sta, prima di ogni cosa, la fraternità.
Riproporre oggi il “trittico” del 1789 non è una ingenuità, è proporre la fraternità come via per dare piena espressione della libertà e dell’uguaglianza, come risorsa civica, politica per far fronte al recupero delle ragioni dell’Unità del Paese. Paese in cui esistono i cittadini, resi stranieri a se stessi. Solo così potremo vivere nonostante le differenze esistenti tra di noi, non come cause di conflitto ma come occasione per accettare il nostro uguale diritto di essere diversi.
L’Italia è stata costruita dai giganti e può essere distrutta da nani. Abbiamo bisogno di giganti e lo possono essere i comuni cittadini: non perchè dotati di chissà quali attibuti o genialità ma perchè resi grandi dalla loro salda coerenza ad un’idea, quell’idea che ci fa essere quello che siamo.
Storia, cultura, intelligenza ma soprattutto decisione e volontà di essere, oggi, l’idea-Italia.
Posted on 18 settembre 2011 by admin
BARILE (di Lorenzo Zolfo) – Nell’ambito della rassegna autunnale, evento enogastronomico, Tumaz Me Tulez, organizzata dalla pro-loco ed amministrazione comunale, svoltasi nel convento Carmelitano Padre Minozzi, è stato presentato il libro dell’Euparlamentare e vicepresidente del Parlamento Europeo, Gianni Pittella e del giornalista professionista Marco Esposito, alla presenza del Sindaco di Barile, dott. Giuseppe Mecca, del Sindaco di Rionero, A.Placido, dei parlamentari Margiotta e Luongo del PD, del presidente della Provincia, Piero Lacorazza e dei consiglieri provinciali A.Murano, T.Gammone,T.Samela e D.Sperduto. Tanta gente presente. A coordinare gli interventi, un giornalista autorevole, Vincenzo Garramone, ex inviato Rai: “ci troviamo a dibattere un problema di scottante attualità. Federalismo vuol dire decentramento, ma allo stato attuale sembra ancora un guscio vuoto. Perché non parlarne?”. A portare i saluti, il Sindaco di Barile dott. Mecca ed il vice presidente della pro-loco Dino D’Aiuto. Ad aprile gli interventi,Roberto Speranza, segretario regionale del PD:“assistiamo ad un neocentralismo dello Stato che affossa l’autonomia locale. Siamo favorevoli al federalismo per garantire alcuni servizi essenziali in Basilicata, come l’Università e la stabilizzazione dei precari. Continue Reading
Posted on 16 settembre 2011 by admin
www.arte26.it – promoter culturale accreditato dal Ministero Beni e Attività Culturali, indice ed organizza la seconda edizione del Premio di Poesia e Prosa inedite in Dialetto calabrese e Lingue Minoritarie.
Il Concorso Letterario in lingua calabrese ed in Lingua Arbëreshe, Occitana e Grecanica ha lo scopo di promuovere la conoscenza del patrimonio linguistico della Calabria: il dialetto, come lingua madre, con pari dignità delle Lingue minoritarie, beni culturali da tutelare. Continue Reading
Posted on 11 settembre 2011 by admin
NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Il mio paese, piccolo centro della Calabria e ritengo che sia tra quelli che dovevano essere protetti da organizzazioni internazionali con finalità culturali.
Sin da piccolo ho sempre ritenuto che i vicoli e le gjitonie con toponomi così suggestivi e pregnanti non potevano essere stati distanti dagli avvenimenti della storia che conta.
Gli adulti e anche i colti del paese ritenevano che nel piccolo centro non si fossero svolte vicende importanti sotto il profilo, storico commettendo così un grave errore.
Manomissioni di diversa natura sono stati prodotti alla dignità del piccolo centro in seno generale ad incominciare alla conservazione dei luoghi, ritenuti privi di ogni valore e quindi convertiti senza tenere conto dell’antica veste.
Un centro abitato che sino agli inizi della prima guerra mondiale non aveva ancora una strada carrabile che si potesse ritenere tale, ma approssimate mulattiere che nel periodo invernale perdevano anche questa connotazione, ciò nonostante, a Santa Sofia, sono state concordate raffinate strategie essenziali per il buon esito dell’unità.
Uomini di elevato spessore morale e culturale, che in questo piccolo centro avevano avuto i natali, hanno partecipare attivamente alla storia d’Italia e sono gli stessi ambiti che nell’Agosto del 1806 furono le quinte dell’efferato omicidio alla cui regia i regnanti napoletani in esilio a Palermo tiravano le fila.
L’agglomerato urbano ancora oggi, conserva nei fragili e discontinui frammenti murari ancora quei ricordi come quelli di terremoti, evidenziati dagli interveti realizzati secondo le disposizioni dei tecnici dal governo centrale.
Sicuramente gli uomini di quei tempi avevano altra tempra e altri valori per riuscire a rispettare le regole nonostante non avessero mezzi e formazione atta alla conservazione di questi unici anfratti.
Tipologie edilizie che conservano tappe storiche e le conquiste sociali che sollevarono la Calabria dal buio della povertà diffusa.
Portali, rosoni, solai, finestre, balconi, loggiati, piazze, scale, selciati e servizi, sono gli elementi architettonici e urbanistici che segnano in maniera indelebile e senza dubbi ogni intervallo del passato.
Discutere di queste cose però non interessa a nessuno; si preferisce rimanere abbarbicati alla frase secondo cui i centri minoritari non hanno mai avuto alcun valore.
La verità invece è un’altra, purtroppo i contesti minoritari vegetano con la divulgazione di incertezze diffuse, per produrre un folclore labile e consentire l’ingresso nella ribalta etnica alla massa dei bisonti in pensione, senza che nessuno possa valutare il danno provocato.
Chi fa ricerca, e in tal senso intendo dire chi è in grado di produrre elementi storici , sociali, antropologici, architettonici, sino ad oggi ignorati perché non alla portata di tutti, va frenato con ogni mezzo, persino gli organi pubblici alle certezze preferiscono incentivare la produzione editoriale di inutili addenti, questo stato di cose ormai ha superato abbondantemente la linea della decenza e del ridicolo.
L’estate è appena trascorsa colma da eventi aggiunti come spezie nel calderone della ribollita: Sagre di prodotti tipici che poi così tipici non sono, racconti di favole francofone che dovrebbero avvicinare le nuove generazioni alla lingua parlata arbëreshë (?), rievocazioni di vita odierna (?), canti e balli come nelle cene delle osterie romane a base di porchetta(?) e tutta una serie di manifestazioni che hanno un solo fine, strafogare un panino e tracannarsi un bicchiere di vino.
Pretendere che queste ricorrenze siano il veicolo utile per tramandare correttamente l’eredità storica, presuppone che a coordinare gli eventi vi siano persone con adeguate conoscenze delle caratteristiche minoritarie, ma purtroppo non è cosi, giacché, la politica ha i suoi adepti che della minoranza non sono neanche parlanti.
Per individuare una risorsa positiva bisogna tornare indietro nel tempo sino alla fine degli anni sessanta del secolo scorso, quando tre sapienti personaggi Sofioti seppero dare idonea lettura al discorso sugli albanesi e prendere spunto utile a realizzare la manifestazione che è divenuta riferimento di tutta l’arberia interpretata poi come avviene in queste cose in molteplici variati.
Oggi alla valorizzazione dei luoghi e degli eventi si preferisce la via dei midia, sperando di attecchire decontaminando politicamente i territori o svendendo questi contesti sotto mercato e senza alcuno strumento che ne tuteli il loro valore storico.
Eppure questi contesti appartengono agli stessi sistemi orografici Albanesi in cui gli esuli hanno trovato la pianta in cui innestarsi e produrre lo splendido frutto arbëreshë.
La ricostruzione di un inutile museo, una biblioteca dedicata a un magistrato, una sartoria in un luogo ameno, anonimi palazzi colorati con assurde pigmentazioni, strade simili una dall’altra, eremi stravolti, stradine veicolate, fontane soppresse, toponimi cancellati, lapidi disperse, monumenti alloctoni e una miriade di errori perpetrati nel tempo e senza alcun ripensamento caratterizza un luogo che ormai non riconosce più nessuno.
Solamente il rito che ha sempre scandito le stagioni nei modelli architettonici e nei sistemi sub urbani arbëreshë, proposti in chiave moderna potrebbero essere l’opportunità per inserirsi in circuiti economico turistici rispondendo chiaramente con una veste più dignitosa e più rappresentativa di questi luoghi.
Purtroppo, le capacita imprenditoriali e organizzative in senso generale sono molto labili e limitano ogni piccolo sforzo a organizzazione e ricollocare persino la festa padronale.
Posted on 10 settembre 2011 by admin
NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Tommaso Campanella nacque a Stilo in provincia di Reggio in Calabria il 5 Settembre 1568, di umili origini, si distinse fin dalla prima giovinezza per la prodigiosa memoria e la grande capacità di apprendimento.
L’epoca del Campanella è un tempo ricco di grandi e drammatici contrasti: la rottura definitiva dell’unità del mondo cattolico, da un lato, porta con la Riforma, alla maturazione delle premesse storiche poste dall’Umanesimo e dal Rinascimento; dall’altro, si da inizio, in l’Italia e in particolare nel Mezzogiorno ad un lungo periodo d’involuzione politica e sociale, che vede nascere e fiorire la Controriforma e stabilizzarsi la dominazione congiunta dell’impero di Spagna e dell’inquisizione.
Fra Tommaso 1582 entrò nell’ordine domenicano, dove ricevette una prima formazione filosofica di stampo aristotelico.
Trasferitosi nella capitale partenopea nel corso del 1590, pubblicò gli otto libri della Philosophia sensibus demonstrata, una difesa della filosofia di Telesio dagli attacchi degli aristotelici.
Dopo due anni, per un’accuse infondate e di oscure origini, a cui era abituato a rispondere con la frase: ho consumato più olio io che vino i miei accusatori, fu processato dal tribunale del suo ordine religioso e costretto a rientrare in Calabria. Continue Reading
Posted on 08 settembre 2011 by admin
NAPOLI (di Atanasio Pizzi ) – Sul mio libretto universitario, che conservo gelosamente, il primo esame per il conseguimento della laurea da me sostenuto, porta la firma del prof. Ludovico Quaroni.
Conoscendo la fama del professore, seguii quel corso senza mai perdere una lezione, alla fine del quale mi ritrovai con un ricco bagaglio di nozioni progettuali e il principio secondo cui gli uomini e i contesti della progettazione vanno rispettati.
Per trovare il terreno ideale dove questa affermazione non trova il ben che minimo riscontro basta recarsi nello sconfinato e variegato scenario delle pertinenze minoritarie. Questo è sempre più ricco di labili teorie dissociate del contesto, rappresentazione di istanze ed esigenze demenziali da soddisfare, poiché privi dell’adeguata preparazione storica a cui fare riferimento.
Eppure c’è chi usa questo nome per arrogaesi il diritto o dovere di stravolgere e violentare gli anfratti e la storia architettonica delle minoranze del meridione e non solo.
Questo accade perché non essendo in grado di realizzare adeguate analisi e sintesi volte a definire i requisiti, le forme e le dimensioni dell’intervento architettonico, attraverso cui dare forma e configurare gli elementi costruttivi ed esecutivi, per poi metterli rigidamente a confronto con le preesistenze ambientali, al fine di dare continuità alle vicende storiche del contesto, si realizzano modelli vuoti di ogni riferimento.
L’itinerario così descritto porta al prodotto finale che diviene “la costruzione da incubo”.
Per evitare ciò, la stesura del progetto si esprime e si configura attraverso l’interfaccia continua e solidale tra la cognizione creativa delle forme e l’interpretazione tematica di esigenze e funzioni mutuate attraverso la codificazione di prestazioni e requisiti locali.
Le risorse, i mezzi, le procedure, le azioni, gli aspetti morfologici vengono tradotti ed integrati nelle più realistiche e articolate risoluzioni operative e nelle compatibilità univoche del sistema ambiente.
Le proposizioni sistematiche che interessano il progetto, e più propriamente le sue qualità, intese come espressioni di adeguata rispondenza all’uso e come valori che riflettano il giusto rapporto tra prestazioni attese e risorse impegnate, richiedono la rielaborazione di alcuni dei percorsi enunciati, al fine di acquisire la portata di influenze e ripercussioni che essi hanno in definitiva sul progetto.
Essenziale è riprendere quindi il tema della costruzione del progetto, in un momento in cui la progettazione e la produzione edilizia sono percorse da innovazioni che hanno decisive ripercussioni nel modo di concepire ed attuare gli interventi architettonici.
Queste trasformazioni consentono di attuare nuove sinergie che si traducono in rinnovate possibilità di interpretare e valutare le mutazioni che si vanno registrando nelle più recenti realizzazioni architettoniche che impiegano fattori innovativi immateriali, quali la gestione evoluta dell’informazione e la costruzione assistita del progetto.
La immagine architettonica come idea anticipatrice del progetto e la concezione operativa come fase razionale del processo, attraverso le quali si rappresentano e si materializzano le forme immaginate, rifuggono da una susseguenza cronologica che, in pratica, sarebbe tutta da dimostrare ma, soprattutto, escludono gli equivoci.
Progettare è sempre il risultato del porre insieme, confrontare, elaborare, ordinare e rielaborare e ancora, riordinare conoscenze culturali.
Anzi, quanto più il progetto pone insieme in modo coerente discipline, tematiche, aspetti culturali e esigenze autoctone, tanto più esso contribuisce alla crescita e il rispetto delle proprie radici
Ed allora la costruzione del progetto può essere individuata come momento contestuale per produrre architettura, momento nel quale ricomporre espressioni interdisciplinari per rendere le diverse classi del sapere individuate riconoscibili ed egualmente apprezzabili e reciprocamente compatibili.
E’ l’idea condivisa, ma non sempre conseguita in maniera interattiva, in quanto solitamente la ricerca non si spinge oltre una semplice addizione di elaborati, e al più ad una verifica di congruenza degli aspetti che si riconoscono in maniera approssimata nella progettazione pluridisciplinare.
Fare architettura, più di ogni altra attività creativa, implica la costruzione di sistemi coerenti; questa è la prima ragione a cui si affida la definizione di progetto sostenibile, dove la sostenibilità è intesa come progetto o processo integrato nel quale si manifesta la capacità di immaginare l’intervento architettonico e di anticiparne la configurazione delle sue espressioni formali senza traumatizzare i contesti nei quali ognuno dei fruitori si possa riconoscere.
Il meccanismo circuitale tra costruzione, sistema generatore e forme, induce ai valori espressivi che si rivelano nelle forme costruite.
La costruzione deve dimostrare che l’idea immaginata, prima che diventi materia e quindi non più reversibile trovi nel contesto dove si va ad intervenire la giusta misura e l’adeguato equilibrio.
L’informazione e la ricerca, nella costruzione del progetto, possono essere considerati congiuntamente come momenti e come strumenti di conoscenza.
In tal senso, ricerca ed informazione si pongono come termini combinatori delle connotazioni conoscitive necessari tanto al progetto proponibile, quanto alla sostenibilità della sua costruzione.
Il tecnico che produce arte (?) in contesti di grande valore storico e propone forme e segni che sono l’espressione dell’anti architettura è come se commettesse il più subdolo dei reati, ovvero quello di infliggere violenza nei confronti di inermi, indifesi o di qualsiasi essere che non ha la capacità di reagire.
Gli esempi a cui fare riferimento sono sotto gli occhi di tutti, ma la cosa più grave e sempre la stessa, chi pagherà i danni di questa violenza, chi rimetterà le cose a posto e quando questo sarà attuabile se la cultura della violenza è ancora viva e vegeta?
Posted on 06 settembre 2011 by admin
Barile (Pz), 26 agosto 2011 – Sono aperte le iscrizioni al “Premio Enogenius”, concorso nazionale di pittura dedicato e ispirato al vino, promosso da Pro Loco di Barile e Associazione Orme, in collaborazione con la rivista In Arte Multiversi e l’associazione Basilicata in Arte e con il patrocinio del Comune di Barile e del P.I.O.T. Area Nord Basilicata. La manifestazione, giunta alla sua terza edizione e inserita da quest’anno all’interno del calendario “VulturEventi Autunno”, si svolgerà dal 22 ottobre al 1º novembre 2011, attraverso un’esposizione temporanea delle opere in concorso, che avrà luogo a Barile presso Palazzo Frusci, e la premiazione dei vincitori prevista per martedì 1º novembre alle ore 18.00. Continue Reading
Posted on 05 settembre 2011 by admin
SAN DEMETRIO CORONE (Adriano Mazziotti) – La suggestiva ricorrenza, resa ancora più lieta dai canti eseguiti in onore della Madonna sia in italiano che in albanese, è spesso accompagnata dalla degustazione di piatti tipici locali, preparati con cura dalle donne di ciascun rione e offerti ai numerosi presenti. Una iniziativa spontanea, fatta di fede, cultura e tradizione, fortemente sentita e realizzata con il concorso dei residenti, giovani, adulti e anziani; preparata con pochi mezzi, tanta semplicità e devozione, e un unico scopo: festeggiare per una settimana la Natività della Madre di Dio riproponendo una remota tradizione, che in una dimensione collettiva e con la fede sempre in primo piano rinsalda antichi vincoli di amicizia, una volta molto vivi e sentiti nei vari rioni.