NAPOLI – (di Atanasio Pizzi) – Gli usi, i costumi e le tradizioni popolari degli albanesi in Calabria, anche se hanno subito
ingerenza, hanno conservato, in buona parte, la schiettezza della loro terra d’origine.
A Santa Sofia d’Epiro il linguaggio è quasi originale, la si noti nella canzone qui di seguito riportata:
Linghirjan di vochiche
Tinghe pe eia pevo u.
Unghe pe da pevoti.
Iscia gna Turca te aio vota.
Ma gna vascia ta liturid,
Liturid pra va sceccia.
Poi me raun te gna erna:
Se, ti zot, e ti gra mastra,
Lascom ta liturid,
Ta Teja gna pica uja.
Ghat goja, chieni Turcu!
Unga dua te cupa Jote,
Se u dua te grusti imma,
Mo pregasti tanazon
Te driggon diza ribara,
Za ribara e za grusara
Za grusara nga ghiacu isaji,
Appena sosi fialzan
Marrivati za ribari,
Za ribari eza grusarì,
Za ribari nga ghiacu i sufi
Turcona ma fundacosan,
Vasciana ma je rumbiena,
Conca viena me sosudidh.
La traduzione italiana è rilevata da una Rivista del 1890, così tradotta:
Discorrevano due fanciulli
Tu non vedesti ciò che vidi io
Io non vidi ciò che vedesti tu
C’èra un turco a quella volta,
con una giovane legata,
legata per la treccia per la treccia,
e mani e treccia.
Poi giunsero ad una fontana:
O tu, Signore e gran signore,
allargami la legatura.
Affinchè io beva un po’ d’acqua
Che ti mangino la gola,
cane turco, non ne voglio alla tua coppa,
perché voglio al mio pugno
Poi pregò il Signore di mandarle alcuni difensori,
alcuni difensori e parenti,
difensori del sangue suo.
Appena che ebbe finita la preghiera,
arrivarono i difensori,
alcuni difensori e parenti,
difensori del sangue suo. I
l turco strangolarono,
la fanciulla gli tolsero.
La canzone è terminata.
Un argomento, come si vede, che si riporta al secolare odio verso i turchi, invasori della terra d’Albania, violenti e selvaggi, che, per le efferatezze commesse avevano costretto i vinti a fuggire in cerca di una patria adottiva.
Ma la cosa che ha più rilevanza, sta nel fatto, che la poesia è scritta con l’alfabeto delle magiche 21 lettere.