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SE NON AVEVI ANATOMIA DA SPOSA ADELINA NON TI FACEVA INDOSSARE STOLLITË (Pà sisë ,bidë e gofe, nenghë thë kielenë stollitë me garbë)

Posted on 13 settembre 2024 by admin

donneNAPOLI (di Atanasio Pizzi Architetto Basile) – I costumi Arbëreşë sono veri e propri manuali, un componimento sartoriale, cucito e rifinito dal XVII secolo, seguendo le direttive, di credenza e contenuti.

Essi per questo assumono un ruolo culturale solido e continuativo, il più colmo di memoria delle origini e quanti hanno modo di osservarli, avendo sempre a fianco un illustratore adeguatamente formato, ne possono cogliere i valori di appartenenza.

Il costume per questo rappresenta un vero protocollo figurativo, fatto di contenuti depositati con garbo, in quelle innumerevoli cuciture e pieghe, come si fa con i libri o, quando si dipingono paesaggi per memoria.

Essi rappresentano la traccia dell’antica civiltà mediterranea Arbëreşë Bizantini, attraverso cui sono stati inseriti, concetti generali delle civiltà Indo-Europee.

Si riconoscono per il percorso che svolge la donna nell’ambito del governo delle donne nel corso della vita, in ruolo di: Sposa; Regina della Casa; Giornaliero; Vedova; Vedova Incerta.

Le stoffe di questi vestiti tra le pieghe, i ricami e colori sin anche in doratura clericale, contengono le tracce del cammino di noi arbëreşë, per questo il costume, indossato in maniera superficiale e con poca gradevole devozione, denota tutto il disprezzo verso le pene dei nostri avi, i quali, riverberarono sudore e sangue, per lo sviluppo economico e sociale delle discendenze in quelle sante terre parallele ritrovate.

Come i costumi e, del resto altre cose di dominio generale materiale e immateriale, contengono strati multisecolari, facilmente leggibili con figure titolate o con memorie storiche locali, con i quali e per i quali, confrontando le cose con quelle della odierna Albania, lasciano emergerebbe quanta differenza culturale sia stata introdotta nelle cose parallele portate dalla terra di origine, oggi, moderna storia Albanese, e mi riferisco a quella oltre Adriatico istituita agli inizi del secolo scorso, dove sono attinte atti e movenze, da quell’est, che agli avi Arbëreşë mirava ad incuneare amaro e pena islamica.

Da non confondere, con i legami della civiltà dei nostri antenati dell’antichità di quelle terre, con quanti, oggi con movenze ignobili femminili, arrivano per ricordare i primi venticinque anni del nostro eroe Giorgi Castriota, dipingendolo di “beg” e non d’azzurro dell’Atleti di Cristo.

Nessuno cita le vicende di mutuo soccorso, quello, sano e indissolubile del Drago, che è raffigurato, nella Capitale Napoli dal XV secolo, lo stesso che ha consentito ai nostri avi, di essere accolti e considerati come profughi buoni e, non da invasori violenti e malvagi, un costume, che nessun genere di radice Arbëreşë, ha mai indossato.

Nonostante nel quindicesimo secolo sia stato fuso in materiale bronzeo l’apporto dell’atleta Giorgio oggi lo si espone senza attenzione alcuna come quando lui era ricattato e costretto a fare gli interessi delle cupole con terminali caprini di corna difformi e, simulare luna crescente

Infatti le coloriture dello storico costume, sono di Azzurro: il Cielo la credenza; Rosso: la Fedeltà; il Verde: il Lavoro della terra; l’Oro la solidità o fondamenta economica; l’Argento: il Lavoro in miniera, Il Bianco Ricamo; il Marrone, la non conferma del marito scomparso; il Nero, il lutto; Il Nero sul Bianco, il lavoro di casa: Il Bianco ricamato la fonte per sostenere i generi.

Queste vesti, che passano di generazione in generazione, alcune volte sono state anche prestito, per avere misura di nuove confezioni, tuttavia se la conformità fisica o meglio l’anatomia della ragazza prescelta ad essere sposa, moglie, madre e, se le vesti non collimavano secondo un preciso protocollo di vestizione per la rappresentazione finale, con quella della modella in studio di vestizione finale, si preferiva non imprestare quelle vesti.

La misura che le sagge indossatrici del passato erano proporzione fondamentale si riferivano ai fianchi, i glutei, i seni e il rapporto dal giro vita, sino alla cima dei capelli, con quella di estensione sempre dal giro vita  di gambe sino al tallone del piede, due armonie fisiche, che se non riconosciute o individuate, dalle sagge madri indossatrici, a misura d’occhio, non davano agio di accoglienza per la prescelta, la quale dimessa con garbo, si doveva rivolgere ad altre sagge locali, che possedevano vestizioni per un fisico, poco armonico e con volumi che andavano altre la tolleranza da sposa.

Il manuale completo di vestizione è molto articolato e, in questo breve non è il caso di espandere in tutte le sue parti, Tuttavia esso abbraccia tutti gli elementi compositivi, i quali se non adeguatamente aderenti e coprenti con saggezza le parti femminili della procreazione con garbo e misura per il genere femminile che si espone a procreare, diventano mera esposizione senza volto o valore femminile, come purtroppo frequentemente accade senza alcun garbo e rispetto, in musei e feste di rappresentanza. 

Il protocollo è ancor più articolato e consistente, fornendo l’indelebile e unico protocollo di vestizione, che unisce il camino della Casa, con l’altare della Chiesa, tuttavia, forse è meglio rimandare ad altre attività compilative della nostra storia e, qui, non distrarre troppo i comuni viandanti.

Tuttavia è meglio non esagerare con temi e diplomatiche di lume veritiero, altrimenti si finisce per alterare troppo la realtà allestita da e per viandanti, i quali affermano e dicono di aver studiato ogni cosa, non avendone e lume per farlo, in specie come quello rilasciato dagli Olivetani moderni per esporre cose lette, riverse e definite da altri.

Resta un dato, ovvero, che nonostante l’intellighenzia artificiale, ringrazia e accoglie tutti i cultori di spessore che collaborano con lei e gli offrono nuove diplomatiche di conoscenza, quella degli umani fatta di Istituti, Istituzioni, Amministratori titolati da comuni studiosi o topi di archivio, biblioteche e musei senza muse di memoria compiuta, discriminano quanti si distinguono in discipline specifiche, lasciandoli penare come è successo ad Adelina Pizzi, che non le e stato dato neanche l’agio di essere anagrafica.

Ed è lei che oggi osserva misura, disapprova quanto di parallelo e vile, le sia stato reso, per negarle sin anche la vita a lei e agio per quanti donato tutto per il bene della R.s.d.s.A., lei essendo consapevole che il cielo è colmo di pianeti buoni, con una Luna e un Sole, questi “ultimi” mai assenti e sempre pronti a dare visibilità a tutti gli uomini che istituirono, inventano, promuovono e distribuiscono senza mai riposare il male assoluto e fine a sé stesso.

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