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NAPOLI E’IL CENTRO PER LA CULTURA LA STORIA E LA SOSTENIBILITÀ DEGLI ARBËREŞË (NAPULLË HËSHËT MESÌ E THË SCUARETË I THË BËNËRATË E MBAITURATË ARBËREŞË)

Posted on 01 luglio 2024 by admin

ladri di idee

NAPOLI (di Atanasio Pizzi Architetto Basile) – A seguito di accurate indagini eseguite e portate a buon fine con progetti mirati di ricerca e approfondimento, hanno consentito il definire le cose prodotte per la resilienza della Minoranza Storica Arbëreşë.

Allo scopo è stato inequivocabilmente rilevata la fonte della saggezza per la sostenibilità elevata dalle numerose figure qui accolte, poi divenuta polvere ormai non più accettabile, con le istituzioni in seguito approdate e, senza titolo specifico, definite le partorienti, dopo circa un secolo di incertezze, la legge 482/1999 che non tutela gli Arbëreşë, ma l’Albanese.

Infatti analizzati gli argomenti della storia, degli uomini, il genio, l’intellighènzia locale partecipata emergono palesemente fatti, uomini, cose, e luoghi, con logica migliorativa.

Ed è grazie a queste attività che si riesce a costruire quel fenomeno storico di valore inestimabile, dello specifico territorio, dove prevale non la conquista con forme di guerriglia, ma attraverso cunei condivisi o atti migliorativi del benessere comune di quelle genti che oggi vivono: La Regione Storica, Diffusa e Sostenuta dagli Arbëreşë con Capitale Napoli.

Allo scopo si ritiene indispensabile allestire una Fondazione o Istituto Culturale, che ponga un freno al proliferare di questa anonima farina bianca di bosco fatuo, che offusca la mente e l’udito del parlato.

Infatti, serve sottolineare la centralità della cultura ad iniziare proprio dal lessico Arbëreşë utilizzando per lo scopo, come “Titolo Maiuscolo”, in favore di quanti giunsero dal 1471 al 1535 nel meridione italiano; la cui specifica centralità sia rilevata usando il sostantivo: “Mèsë o Mesì” e non certamente “Cènderë o Chienderë, dirsi voglia, che risulta essere libera opera delle adolescenti in opre di ricamo o tomboli con ami di libero arbitrio”.

Le vicende che definiscono e sanciscono la storia degli Arbëreşë, vanno coltivate attraverso le cose lasciate germogliare a misura del sentito, dato che essi sono, e su questo non vi è dubbio alcuno, una minoranza che si sostiene con valori identitari del parlato, ascoltando chi ti cresce, non secondo visione oculare di lettura.

Allo scopo va menzionato il ricercatore, unica eccellenza della lingua parlata degli Arbëreşë, Pasquale Baffi, il quale è stato l’emblema figurato, del parlato. tendenzialmente incline a scaraventare calamai e libri, il primo usato per scrivere, il secondo per leggere, contro il mentore che voleva dare lezioni di cose scritte male e lette peggio.  

Prova ne sono le gesta di Domenico, che ereditato da un suo avo prete, una corposa biblioteca di testi greci e latini, non sapendo egli leggere e scrivere, li utilizzava il mattino presto, per innescare il fondamentale fuoco del camino, per lui più utile di ogni cosa, evitando subito di patire il freddo, nel tempo della giornata colma del suo sentire al caldo del focolare materno.

Ciò nonostante, alcuni anzi troppi emeriti, dei trascorsi di ricerca, fanno uso ostinato per cercare metodi e cose da legge, composti da uno o più partecipanti, e nonostante siano firmati esclusivamente con, decima analfabeta, denotando senza alcun dubbio la radice storica Arbëreşë e, quindi, “atto non valido”.

Titolare i centri abitati diffusi realizzati in iunctura di solidità familiare, definendoli impropriamente con il sostantivo Germanico di “Borgo”, lascia a dir poco perplessi, specie per quanti conoscono l’assuntivo parlato, dove sono presenti sia il sostantivo per identificare, il costruito e sia i cunei agrari di sostentamento dei generi, ovvero: Katundë e Ka Valljetë Tònà.

Oggi si è giunti al punto di far apparire l’antica scuola Olivetara, una disposizione culturale allevata e cresciuta in favore delle incoerenze lungo la via Egnatia, nel tratto vissuto e illuminato dalla cultura Arbëreşë, poi abbandonato dal 1471e, da allora nelle disposizioni delle cupole e dei minareti di vergogna, secondo accenni di preghiera belata.

Adesso BASTA! il momento di svelare con coerenza storica, le vicende che hanno reso Napoli, la capitale della Regione Storica, Diffusa e Sostenuta dagli Arbëreşë, va rivelata non elencando capitoli platee e onciari dirsi voglia, o promettere editi realizzati da figure che non trovano agio nei loro natii presidi, si dilettano a parlare di cose lontane di cui non hanno mai avuto misura conoscenza e rispetto.

Il centro culturale analizzato in tutte le sue componenti, consente di individuare i luoghi degli eventi e, le analisi delle parti o porzioni del centro antico partenopeo, dove il vissuto di fatti, uomini e cose, nasce non per campanilismi esasperato, ma lento avanzare, segnare e formare i luoghi come qui nel centro antico di Napoli Capitale ha sempre fatto l’acqua.

La stessa che scendendo dalle colline ha delineato nelle varie epoche percorsi di vita vissuta e condivisa, facendo in modo che la capitale diventasse luogo di semina fertile, della cultura Arbëreşë dal XIV. 

Allo scopo saranno posti in evidenza luoghi, residenze, strade vichi, palazzi, porticati, orti, fontane e monumenti, dove i segni indelebili della storia, sono stati seminati per dare germoglio fruttifero.

Segnando e valorizzando i luoghi di soggiorno e confronto di Giorgi Castriota poi della moglie e nel corso dei secoli, a tutte le attività che hanno visto attori di prima linea, figure di eccellenza del cuneo culturale degli Arbëreşë, seminando Attività che dal punto di vista culturale, di scienza esatta, dell’editoria, della musica, la politico, il sociale, di fratellanza europea e  religione, svelando e certificando i letterati che sono stati in grado della prima comparazione linguistica, la stessa che dopo le vicende del 1799 si è arenata e non ha saputo più dare agio unitario o prosperità linguistica di radice.

Sono innumerevoli i segni da seguire e interpretare, nel centro antico partenopeo, dentro e fuori le mura, le stesse che aiutano a comprendere come si sono distinti, nella capitale, un numero considerevole di eccellenze Arbëreşë, le uniche e sole, che per incompetenza di studiosi moderni hanno permesso di esaltare gli ultimi, riportando concetti finemente lucidati per apparire propri e non crusca bianca di quanti li hanno, in questi ambiti, preceduti, specie nelle cose che fanno e definiscono la storia reale, vera o dirsi indivisibile.

Il dolore si sposta, nel vedere piazze e strade segnate dal sangue versato, queste quinte fanno venire voglia di afferrare la testa con rammarico, perché potrebbe non esserci un’altra visione, che faccia in modo di essere un’altra persona e non sentire la violenza subita dalla storia.

Nonostante si cerca ancora di dare un senso a tutto questo e, ancora sentirsi escluso per cose che non sono buone, in tutto rendersi conto che il velo pietoso non è di trama tessile che pur se bianca è come farina, la stessa che fa dimenticare alla percezione del sangue li versato inutilmente da persone buone Arbëreşë.

Tutti pensano di essere al sicuro, rallentati e diretti dallo stesso veleno culturale dell’approssimazione di grano e per questo rubano agli altrui figli, le idee fatte di crusca che vale di più, cosi si illuminano innanzi alla platea distratta, pieni di vita e cultura che non gli appartiene.

Esistono luoghi nella capitale della regione storica degli Arbëreşë che nessuno conosce, tuttavia oggi è arrivato il tempo di illustrarli, onde evitare il proliferarsi di inediti inesatti imprecisi e utili solo a sopravalutare i complementari, rispetto i fondamentali.

A cosa serve al Balcano o all’Arbëreşë visitare Napoli recandosi nella via dei presepi e ingurgitare una pizza mal lievitata, quando la citta e il suo centro storico sono la patria culturale, dove sono incuneate le radici, del genio antico, di queste popolazioni che vissero la diaspora infinita.

Lo stesso che ha germogliato e reso le figure di eccellenza della regione storica e dei Balcani, il genio morale e culturale degli istituti Olivetari partenopei, lo stesso che oggi senza una ragione plausibile viene calpestato dai tacchi dei non addetti, i quali, così facendo termineranno per non alimentare o meglio annaffiare con misura le sempre fruttifere radici dell’operato Arbëreşë.

Napoli non è la citta del turismo mordi la pizza e fuggi, essa rappresenta un protocollo storico irripetibile, capace in tempi dell’isolamento, senza alcun sistema di comunicazione a realizzare con genio e intelligenza, il modello di integrazione mediterraneo che oggi la società e la politica globale non si riesce neanche ad avviare.

 In questo progetto di eccellenza inarrivabile, sia da una parte che dall’altra sono sempre presenti gli Arbëreşë, prima come pensatori, poi come dispositori e poi come attuatori; resta solo un dubbio: perché le odierne forze politiche non si recano qui a chiedere e forse trovare anche una soluzione per il malessere che oggi si lamenta come si faceva allora nella parte iniziale.

Napoli è la patria che adotta accoglie e alleva gli Arbëreşë, non sdegna questi figli adottivi, come è successo e succede in regione storica, dove non sanno e non hanno adeguato rispetto per gli illustri che qui, nella città dei partenopei hanno fatto la storia consolidando la notorietà della minoranza.

Storia per gli Arbëreşë del lessico, le discipline greche e latine, l’editoria, la religione e della scienza esatta e dei valori culturali di confronto culturale, politico e della fratellanza dei liberi pensatori, questi i più puri che la storia ricordi.

Potremmo indicare luoghi edificati o presidi dove tutto ciò è avvenuto, ma conserviamo la notizia per altro edito in allestimento.

Nonostante ciò ancora oggi si assumono gli stessi atteggiamenti verso quanti si prodigano per dare risposte, in senso mirato del consuetudinario storico di vestizione, di iunctura urbana e della toponomastica storica e, oltre a ciò come non menzionare le novelle rimate tradizionali degli odierni cultori, i quali senza formazione diffondono fatuo di candido biancore.

Gli stessi che si ostinano a enunciare e diffondere imprecisioni a dir poco elementari, privi di una minimale logica di luogo e tempo.

Come avviene per il costume tipico, l’organizzazione museale e le trame delle figure seconde diffuse dai campanili utilizzati come minareti mussulmani, per elogiare cupole delle corti persiane, ma questo è tutto inutile, perché basta uno formato a far tremare dipartimenti e capitani di ventura, li insediati per dare agio alla china identitaria ormai in fase terminale, in attesa di vegetale conviviale.

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