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STELLA IRREQUIETA (ylljsbendë)

STELLA IRREQUIETA (ylljsbendë)

Posted on 04 agosto 2024 by admin

main-qimg-99abd66f0513b5a4a2fb61ad89268d4b-lqNAPOLI (di Atanasio Pizzi Architetto Basile) – Quando le scelte di convivenza comune, non hanno forza e radici per segnare lo svolgersi della vita, in armonia con i tempi del vivere civile, questi, sono contraddistinti con appellativo di Gjitonë irrequieto.

Il senso di questo sostantivo in lingua Arbëreşë noto per la crusca letterale in: Sbèndë, se poi a fare il disturbatore di riverberi continuati e progressivi, nella quiete e i tempi del vivere civile che alimentano studio, sapienza e buon gusto, si antepone l’appellativo Yllj, ovvero Stella.

L’insieme così viene composto in “Stella inquieta”, (ylljsbendë), in tutto, discolo senza educazione, rispetto e regole, verso il prossimo, i saggi, e quanti si prodigano per lo studio al fine di tracciare storia vera.

A ben vedere e dopo aver ascoltato in diversi appuntamenti in presenza e documenti le esternazioni che da diversi decenni sono poste in essere dal dilagare di queste “Stelle inquiete”, (ylljsbendë), le stesse che, invece di fermarli, trovano agio, dalle istituzioni che godono con il moltiplicarsi di questi inopportune stelle disturbatrici.

Allo stato delle cose si può rilevare ch,e un numero consistente di progetti utili solo a deturpare i centri antichi, sono divenuti la deriva più  crescente, dopo quella degli anni settanta che sostituiva orizzontamenti varchi, porte e finestre, nella totale assenza delle istituzioni o dipartimenti preposti, i quali, invece di correre ai ripari, voltavano le spalle al violare questi luoghi e addirittura elogiando gli operatori, che in qualche caso di incoscienza estrema rimasero sepolti.

Ormai la dispersione culturale ha raggiunto e superato ogni limite di decenza, in tutto vengono citati e ricordati, fatti secondari e sin anche i protagonisti primi, sono preferiti ai comuni viandanti, che per la loro natura lasciva si facevano trascinare dalle correnti in atto, nei frangenti storici più significativi, per la tutela e la salvaguardia della memoria locale.

Esistono momenti storici, che superano lo scorrere modesto di un Katundë Arbëreşë, sono questi intervalli fortemente pregnanti, che vanno ricordati come memoria storica e, assieme ad assi le figure che li determinano, li alimentano con ragione, sentimenti e garbo.

Si potrebbero citare tanti episodi, relativi alla continuità storica di radice locale, del centro antico denominato “Terre di Sofia” e, sicuramente non mancheranno episodi, in continua produzione di buoni propositi con senso di radice locale.

Qui saranno rievocati luoghi fatti e figure locali, che hanno dato avvio alla Primavera Italo Albanese, nota come ottava di Sant’Atanasio, il gruppo in vestizione da sposa e da festa, e la nascita delle sonorità Belliniane che dalle processioni di “Terre” le stesse che sono diventate melodie diffuse in tutto il meridione italiano.

Progetti immaginati e posti in essere dall’operato del trittico culturale locale, noto con l’acronimo di: T.A.G., storiche figure che dagli anni cinquanta del secolo scorso, alimentarono o meglio fornirono i mezzi necessarie e complessi per valorizzare e sostenere lo scorrere del tempo in continuità di ragione, con consuetudini e atti di ragione sociale insostituibili.

Tuttavia, siamo in pochi a ricordare, come si svolsero i fatti che portarono il piccolo Katundë a non perdere i valori della retta a impronta di storica rievocazione, con rispetto dei nostri avi.

Come possiamo no ricordare Temisto, Angelo e Giovanni, i costituenti che trasformarono, tre suonatori storici, in trentatré maestri di melodie irripetibili, senza dimenticare, il dato che, ispirati dalle melodie canore, di Adelina, Ginevra e Maria, affiancate dalle storiche assonanze di genere maschili di Celestino, Orlando e Antonio, realizzarono con senso genio locale, il primo gruppo folcloristico in Terre di Sofia, del quale nessuno riconosce, luoghi cose e nascita.

Non da meno sempre gli stessi T.A.G. in collaborazione con il Fondo Ambiente Italia, inghisarono le reali radici delle Valljie, riportate nei discorsi storici di Pasquale Baffi, nella famosa ottava di Sant’Atanasio, notoriamente diffusa come “Verà Arbëreşë”.

Sono numerose le cose e le figure che hanno reso il piccolo centro Arbëreşë, famoso in tutte le macroaree di simili radici, tuttavia gli eletti locali di turno da troppo tempo ignorano questi fatti e tutte le cose prodotte nella più solida continuità storica locale, preferendo fatti secondari che non portano o forniscono alcun episodio della forte identità locale che da tropo tempo viene lasciata poltrire nell’ombra anche se degli antichi gelsi, ormai non restano che pochi rami cadenti che non fanno più ombra, alle figure moderne locali che sono Nemo Propheta in Patria.

Quando queste “Stelle inquiete”, la smetteranno di fare danno e spariranno dalla portata della vista, la voce, gli odori e daranno spazio ai prediletti Nemo Propheta in Patria, che finalmente siederanno dove gli compete e, potranno diffonderanno la più idonea crusca Arbëreşë, che ormai è indispensabile al nuovo tempo che scorre e non si è mai fermato con l’essenza storica del genio locale, quello buono naturalmente.

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MENDULÀ THË LINACÀSA (Il mandorlo di Ina Casa)

MENDULÀ THË LINACÀSA (Il mandorlo di Ina Casa)

Posted on 02 agosto 2024 by admin

mandorle-albero-convicinum-1024x681NAPOLI (di Atanasio Pizzi Architetto BASILE) – Nel corso e la durata degli excursus turistici locali nei “Katundë Arbëreşë”, in genere sono evidenziati, i principali manufatti architettonici civili e religiosi e, alcune sottigliezze figurative moderne, invece di elevare i trascorsi di questi luoghi, e mi riferisco a tutte le cose che potrebbero essere esempio e vanto di coesione sociale, preferendo illustrare cose comuni di secondo ordine.

Si ignorano così, lasciando in secondo ordine le prospettive storiche, fatte di elevati in diversa forma e misura, vichi, archi, orti, il tutto secondo l’antica consuetudine di Iunctura familiare, le magiche Gjitonie senza confini, di generi e natura.

La storia dell’architettura o genio dell’uomo, è articolata in base a episodi significativi, tuttavia e nonostante tutto si preferiscono espedienti secondari al fine di orientarsi e confondere gli stili, che in questi luoghi sono vanto e primato di evoluzione fraterna

Il dato che prevale del protocollo storico, sono le vicende marginali, inutili e dispregiative, in tutto, coloritura moderna senza rispetto del luogo dove sono apposte, incoscientemente dall’infante che saluta strillando a voce alta “MIrë Mëbrëma” che è un inno di Albanistica moderna.

Tutto il figurativo deve avere un attestato di riconoscimento storico a monte e certificato dalla crusca locale, al fine secondo cui, quanti si accingono o vogliono fare da guida per illustrare, o far emergere tutti i tasselli della storia che conta di un luogo, sano consapevoli che sia vera radice del genio consuetudinario Arbëreşë e non di altra stirpe alloctona o di “Stellare Operato”.

Questo breve, mira a sottolineare le principali tendenze dell’architettura, prima estrattiva poi additive e in seguito intercettandone la sintesi più intima e accessibile (la più esaustiva) degli stili e di cosa abbia sostenuto e accompagnato le famiglie Arbëreşë, in quel percorso di Iunctura sociale.

Lo stesso che rende questi luoghi, percorso dell’integrazione in terra parallela ritrovata, di popoli antichi che diedero linfa al germoglio delle società moderne in allestimento nelle terre di origine.

Qui tratteremo del “mandorlo storico”, ovvero, la memoria dell’orto botanico della famiglia Bugliari di sopra, in Terre di Sofia, dal del XVII secolo, gli stessi ambiti dove si elevarono le case nobiliari del casato, oggi note come Museo del Costume.

Un mandorlo che nasce inclinato si un terreno instabile e poi l’uomo e la natura lo resero pianta nobile che mira orgogliosa da secoli verso l’alto a respirare aria ed essere rifocillata dalla luce del sole.

In tutto un esempio dell’uomo che nasce piccolo e deforme e poi si eleva orgoglioso ad essere guida e agio per imeno fortunati di genio storico, educazione e rispetto verso le cose e del prossimo.

Una estensione Botanica a servizio del manufatto edilizio di rappresentanza nobiliare, alimentato da tra reflui o lavinai storici naturali, due posti alle estremità del rettangolo arboreo e, il terzo fungeva da divisorio idrico della parte floreale, più rappresentativa, posto ad Ovest, da quella botanica, medicale più essenziale e meno appariscente, posto ad Est.

Di queste essenze arboree e floreali ad oggi restano solo il mandorlo dell’ina casa e un ulivo bianco riproposto selvatico di memoria, tutto il resto per necessità edilizia abitativa e di rappresentanza, ormai dismesso rumane traccia solo il mandorlo storico e l’ulivo di memoria ripiantato.

Questi due esempi di memoria, aprono uno scenario di Iunctura familiare, che riporta la memoria agli orti storici del centro antico, che a buon ricordo, non erano pochi o episodici spartani senza utilità specifica.

Vero è che consultando antiche planimetrie del percorso e dello sviluppo del centro antico nel corso dei secoli, si evincono un numero consistente di orti, più propriamente botanici che ortofrutticoli, infatti, erbe e attività medicinali avevano la priorità rispetto ad altre piantumazioni.

A tal fine corre in nostro supporto sin anche la toponomastica manomessa, relativa alla detta “Via degli Orti”, che un tempo, delimitava, con una murazione le pertinenze familiari dei gruppi indigeni, con quelli che si associarono agli epiroti di primo arrivo e disposti lungo la via Morea e Albania.

Conferma, di quanto sino ad ora accennato, sono l’organizzazione sociale de tipici Sheshi, ovvero i rioni che compongono questo centro storico di antichi sistemi di confronto e movimento lento, che si difende non dall’esterno con cinte murarie, porte controllate, ponti levatoi e ogni sorta di impedimento circoscritto.

Vero resta il dato che questo modello di Iunctura sociale si difende dall’interno, evitando che quanti non appartenenti alla fratria sociale nota, non trovano agio nel recarsi attraverso le articolate viuzze, vicoli senza sbocco, archi di misura, orti botanici, il tutto a servizio delle piccole dimore disposte per rendere controllate le vie su cui affacciano i tipici accessi/finestra, sempre aperte e quando non lo sono, un piccolo occhio vigile, controlla la cadenza dei passi, dalla apertura di ventilazione gemellata alla porta di accesso.

Un sistema metrico di percorrenza lenta, sempre controllato e mai lasciato al caso, dove le grida dei ragazzi intenti a giocare, il suono della campana della chiesa, associato ai battiti che segnano le ore e i tempi della preghiera, associato agli odori della lavorazione casalinga giornaliera e stagionale della proto industria.

Tutto questo associato al vociferare del governo delle donne, la cadenza del parlato delle giovani generazioni, ogni passo del vicino di casa, quando torna dal duro lavoro dei campi, rende magico questi abbracci materni dell’architettura, nati dal genio e la consuetudine; un matrimonio ideale, germoglio indelebile del divulgare con garbo, il sapere e il vivere sociale Arbëreşë.

Storicamente è notoriamente diffuso il dato che la disposizione degli Sheshi Arbëreşë, unisce un numero considerevole di orti botanici nell’articolato sistema urbano.

La finalità mirava ad avere un ventaglio completo di erbe medicamentarie per la sostenibilità della medicina empirica, quella che utilizzava intrugli naturali.

Il protocollo ha una radice antica è nasce dal genio di un pellegrino greco di nome Pontus, che fermato nella città di Salerno, nel corso della notte scoppiò un temporale e un viandante malandato si riparò si trattava del latino Salernus; quest’ultimo era ferito e il greco, si avvicinò per osservare da vicino le medicazioni che il latino praticava alla sua ferita.

Nel frattempo erano giunti altri due viandanti, l’ebreo Elinus e l’arabo Abdela, tutti assieme si dimostrarono interessati alla ferita e alla fine si scoprì che tutti e quattro si occupavano di medicina.

Decisero allora di creare un sodalizio e di dare vita a una scuola dove le loro conoscenze potessero essere raccolte e divulgate. L’incontro tra i viandanti sotto le volte della via che dal Monastero di S. Sofia conduce al Monastero di S. Lorenzo siano I leggendari fondatori, della scuola di medicina empirica; identificati in Garioponto (Pontus), Alfano di Salerno (Salernus), Isacco l’Ebreo (Elinus) e Costantino l’Africano (Abdela).

Questo è un breve accenno sull’origine degli orti che caratterizzavano ogni Katundë arbëreşë, gli stessi che nel corso dell’amministrato inopportuni degli ultimi decenni ha dismesso e cancellato ogni sorta di orientamento, medicale, storico consuetudinario e religioso della memoria.

Di questi spazi medicali e delle regole di utilizzo, valga di esempio l’aneddoto che qui mi appresto a raccontare, con protagonisti, mia Madre Adelina, Francesco e Achille i suoi due confinanti: lei una donna minuta ed energicamente puntigliosa mentre i die confinati espressione di primati di sopruso continuato nei confronti di tutta la comunità sofiota in misure olearie e di confini.

I tre confinanti con i reciproci orti botanici, avevano una stradina comune, un vicolo cieco, che serviva i tre possedimenti del centro antico, e quel vicoletto a percorrenza pedonale era esclusiva dei tre.

Francesco ed Achille, pretendevano: siccome i loro appezzamenti erano posti ai lati della strada e quello di mia madre Adelina a termine, era possibile per loro attraversare il giardino di Adelina a loro piacimento.

Premesso che anche se questa discussione avveniva alla fine degli anni settanta del secolo scorso e tale regola è riportata sin anche nel Kanun di Leke Dukagjini; non certo mai letto da nessuno dei tre discutenti e, a quel tempo anche me compreso.

Ma la risposta di mia Madre, Adelina Basile la Figlia di Antonio prima zitti i due faccendieri di gratuita percorrenza e, poi li fece voltare e andare verso casa loro con la testa china.

La frase fu questa: Hoj Franghì; Hoj Akj, voi conoscete bene la regola del vicolo cieco, ma se nel caso l’avete dimenticata, la porta del cimitero è sempre aperta, andiamo tutti assieme nelle tombe dei vostri cari genitori e, ripetetemi quando qui affermato se avete onore.

La regola dell’antichità Iunctura familiare, si riverberava qual giorno, come da secoli negli ambiti del centro antico, in Terra di Sofia.

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